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Comment to Giovambattista Desideri, Serena Altamura

Università dell’Aquila, Dipartimento di Medicina Clinica, Sanità Pubblica, Scienze della Vita e dell’Ambiente

Le malattie cardiovascolari rappresentano ancora oggi la principale causa di morte nel nostro paese, essendo responsabili del 44% di tutti i decessi. In particolare, la cardiopatia ischemica è la prima causa di morte in Italia rendendo conto del 28% di tutte le morti, mentre gli accidenti cerebrovascolari sono al terzo posto con il 13%, dopo i tumori (1,2). Chi sopravvive a un attacco cardiaco diventa un malato cronico, una condizione che modifica la qualità della vita e comporta notevoli costi economici per la società. Secondo i dati dell’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT), la prevalenza di cittadini affetti da invalidità cardiovascolare è pari al 4,4 per mille. Il 23,5% della spesa farmaceutica italiana (pari all’1,34% del prodotto interno lordo), è destinata a farmaci per il sistema cardiovascolare (2). Questi numeri danno una chiara misura di quanto sia importante implementare i programmi di prevenzione cardiovascolare nel nostro Paese.

 

  1. Il “paradosso della prevenzione”

Generalmente l’attenzione delle diverse strategie di prevenzione è rivolta alle persone ad alto rischio, perché in questo gruppo di individui la proporzione di eventi è molto elevata. Tuttavia, va sottolineato che il numero di eventi più elevato si registra nelle classi di rischio dove la popolazione è più ampia, anche se il rischio è più basso. Questo fenomeno, ben conosciuto in campo epidemiologico, è noto come “paradosso della prevenzione” che, per l’appunto, afferma che molte persone esposte ad un rischio piccolo possono produrre più casi di malattia di quanti ne producono poche persone esposte a un rischio elevato (3,4). Questo aspetto è di non trascurabile rilevanza in quanto gli interventi preventivi indirizzati ai pazienti a rischio elevato o molto elevato sono certamente efficaci ma si traducono a livello di popolazione in una riduzione degli eventi numericamente limitata in quanto la stragrande maggioranza degli eventi si verifica nel resto della popolazione che resta generalmente esclusa dai diversi programmi di prevenzione.

Negli uomini con un rischio cardiovascolare ≥ 20% (stimato secondo la carta del rischio Progetto Cuore) si verifica mediamente solo un quarto degli eventi totali mentre il restante 75% si verifica in soggetti con un più basso livello di rischio (3). La situazione è analoga nelle donne: le persone a rischio elevato generano solo una piccola parte degli eventi, il 4% (3). È evidente, quindi, che un basso livello di rischio al quale è esposta la larga maggioranza della popolazione produce, in termini assoluti, un danno maggiore di quello derivato da un rischio elevato al quale è esposto un piccolo gruppo di persone. È importante tenere a mente questi concetti per riflettere sull’attuale approccio alla prevenzione delle malattie cronico degenerative, un approccio sostanzialmente fondato su una distinzione tra “soggetti sani”, di cui interessarsi poco e nulla, e “soggetti a rischio”, individuati utilizzando come criterio di riferimento un determinato livello soglia, da trattare clinicamente con ricorso ai servizi sanitari e alla terapia farmacologica. Invero, gli interventi preventivi possono anche concentrarsi sugli individui a rischio più elevato, ma la prevenzione limitata a gruppi particolari di persone non produce risultati importanti se confrontata con un’azione di prevenzione rivolta all’intera popolazione, perché la maggior parte dei casi di infarto e ictus è legata all’esposizione di moltissimi individui a fattori di rischio moderatamente elevati (3). È evidente, quindi, che una buona strategia preventiva non deve occuparsi solo degli individui ad alto rischio, ma deve combinare l’approccio dell’alto rischio con un approccio mirato anche alle persone a rischio moderato o basso, prevedendo interventi che in questi individui mirino a determinare riduzioni anche modeste dei diversi fattori di rischio che, tuttavia, a livello di popolazione possono tradursi in una prevenzione cardiovascolare di ampia portata.

 

  1. Approccio preventivo di popolazione e approccio preventivo individuale per soggetti ad alto rischio

Geoffrey Rose, un grande epidemiologo, ha teorizzato in modo estremamente puntuale due approcci cardine della strategia preventiva nel suo articolo Sick individuals and sick populations, pubblicato per la prima volta nel 1985 e poi riportato nuovamente all’attenzione dei clinici nel 2001. I due approcci da tenere assolutamente in considerazione sono: l’approccio preventivo di popolazione e l’approccio preventivo individuale per soggetti ad alto rischio (5).

L’approccio preventivo di popolazione si basa sostanzialmente sull’abbassamento del livello medio dei fattori di rischio, spostando l’intera distribuzione dell’esposizione al rischio in una direzione favorevole (5). Un intervento precoce, condotto in soggetti in cui i determinanti del rischio cardiovascolare sono ancora di lieve entità e non hanno prodotto alterazioni tali da non essere più completamente reversibili, ha in sé tutte le potenzialità per azzerare il rischio del paziente (6). All’opposto, un intervento tardivo, pur essendo estremamente efficace nel ridurre il rischio, non è in grado di annullare completamente il rischio medesimo in quanto permane comunque un livello di “rischio residuo” tanto maggiore quanto più elevato è il rischio di base (7). Queste considerazioni sono alla base della raccomandazione the earlier the better supportata da tutte le linee guida di prevenzione cardiovascolare che opportunamente suggeriscono un controllo ottimale e precoce dei fattori di rischio (8). Il principale svantaggio della strategia di popolazione sta nel fatto che offre solo un piccolo beneficio a ciascun individuo, dato che la maggior parte delle persone sarebbero state bene comunque, almeno per molti anni. Una misura preventiva che porta molti vantaggi alla popolazione, infatti, nell’immediato offre poco a ogni singolo partecipante (3).

L’approccio preventivo individuale per soggetti ad alto rischio si applica a soggetti particolarmente suscettibili a sviluppare un determinato evento morboso. La strategia presenta alcuni vantaggi evidenti, quali il fatto di produrre interventi che sono adatti specificamente per gli individui a cui vengono consigliati, di aumentare la motivazione tanto nei medici quanto nei pazienti, di consentire un utilizzo più efficace delle risorse con costi relativamente limitati e di offrire un rapporto rischi-benefici più favorevole. Se si prevede, infatti, che l’intervento potrà avere qualche effetto avverso o costoso, e se il rischio e il costo sono quasi uguali per tutti, allora il rapporto tra costi e benefici sarà più favorevole dove i vantaggi sono maggiori (5). L’approccio preventivo individuale per soggetti ad alto rischio presenta la sua principale limitazione nella aleatorietà connessa al concetto di rischio cardiovascolare. Gran parte degli individui con fattori di rischio saranno in salute per anni, anche in assenza di interventi preventivi. Al contrario, una malattia imprevista può colpire qualcuno che è appena risultato negativo ad uno screening.

Entrambi gli approcci hanno una documentata validità ma il presupposto fondamentale per una piena efficacia è rappresentato dalla loro completa e diffusa applicazione. Invero, ampie fasce di popolazione a rischio cardiovascolare basso o moderato sfuggono agli interventi di prevenzione – nella generalità dei casi basati su “semplici” modifiche dello stile di vita o limitati interventi farmacologici – in quanto si tratta per lo più di giovani adulti in buone condizioni di salute che proprio in ragione di ciò raramente si confrontano con il medico curante. Del pari sconfortante è l’analisi del controllo dei fattori di rischio cardiovascolare nei soggetti a rischio cardiovascolare elevato o molto elevato. I dati dell’European Action on Secondary and Primary Prevention by Intervention to Reduce Events (EUROASPIRE) V dimostrano che ampie fasce di popolazione a rischio cardiovascolare elevato o molto elevato continuano a seguire uno stile di vita poco salutare e non raggiungono un controllo soddisfacente dei principali fattori di rischio cardiovascolare: ipertensione, diabete e dislipidemia (9).

 

  1. Esiti del progetto “Zero eventi cardio- e cerebrovascolari” 2021

Quanto sopra esposto dimostra una stringente necessità di ampliare gli ambiti di intervento delle strategie di prevenzione per implementare sia gli interventi a livello di popolazione che quelli sui soggetti ad alto rischio. Certamente le farmacie rappresentano una sede ideale per veicolare, in modo professionale e credibile, i messaggi di prevenzione in tutte le fasce di popolazione. Questo solido convincimento ha rappresentato la base su cui è stato sviluppato il progetto “zero eventi cardio- e cerebrovascolari”, nato alcuni anni orsono sotto l’egida della Fondazione per la ricerca sull’ipertensione arteriosa della Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa (SIIA) e della Società Italiana di Medicina Generale e delle cure primarie (SIMG) con l’intento di sensibilizzare gli utenti delle farmacie nei riguardi dei fattori di rischio cardiovascolare, ipertensione in primis. Oggi più che mai le farmacie rappresentano, infatti, importanti strutture di riferimento per i pazienti in ragione della loro diffusione capillare e dei preziosi consigli che possono fornire agli utenti in tema di salute. È evidente, quindi, che le farmacie sono un riferimento di grande utilità per le iniziative di promozione della salute e del benessere e di prevenzione delle malattie cardiovascolari.

Il progetto, riproposto nella sua nuova edizione 2021, ha visto la partecipazione di numerose farmacie su tutto il territorio nazionale che hanno ospitato, in spazi dedicati, infermieri professionali che hanno somministrato agli utenti delle farmacie un questionario sulla stima del rischio cardiovascolare e misurato la pressione arteriosa con apparecchi automatici messi cortesemente a disposizione dalla CORMAN. Il progetto prevedeva anche la dispensazione di consigli da parte degli infermieri adeguatamente formati sugli stili di vita più salutari e sull’importanza dell’aderenza alle terapie prescritte dal medico e la distribuzione di materiale informativo. Gli utenti che si sono mostrati interessati hanno ricevuto anche informazioni sulla corretta misurazione della pressione arteriosa a livello domiciliare e sull’interpretazione dei valori misurati.

 

3.1 Caratteristiche del campione d’analisi

L’elevato numero di utenti che hanno aderito al progetto nel 2021 – ben 4.169 – dimostra chiaramente il ruolo strategico delle farmacie anche, e soprattutto, nelle condizioni di maggiori criticità quali quelle imposte dalla attuale pandemia. Il campione finale su cui sono state calcolate le frequenze riportate qui di seguito consisteva di 3.728 utenti (per l’esclusione di 441 partecipanti per dati incompleto o parziali). Di questi, il 65% erano donne ed erano principalmente over 70 (29%) o appartenenti alla fascia d’età 60-69 anni (28%) o 50-59 anni (24%). I giovani erano decisamente meno rappresentati (12% di età compresa tra 40 e 49 anni e 7% di età < 40 anni). La distribuzione dell’età è simile se si considerano donne e uomini separatamente (Figura 1). Questa distribuzione demografica può essere indicativa sia di come i soggetti anziani siano quelli che maggiormente necessitino di supporto da parte delle farmacie, sia di come essi abbiano un maggiore interesse nel partecipare a iniziative quali la survey in oggetto.

La prevalenza dell’ipertensione arteriosa nel campione analizzato è risultata elevata, con il 41% degli utenti che ha dichiarato di sapere di essere iperteso e il 4% che ha affermato di non sapere. Solo il 2% ha riferito di essere affetto da fibrillazione atriale, mentre la prevalenza di ipercolesterolemia nota è risultata essere del 43%. Il 68% dei soggetti consapevoli di essere ipercolesterolemici ha riferito di assumere nutraceutici o integratori, da soli o in associazione a farmaci ipocolesterolemizzanti. Per contro, il 9% degli intervistati non ha saputo riferire in merito alla propria colesterolemia e il 47,5% ha affermato di non avere il colesterolo alto. Infine, la prevalenza del diabete noto è risultata pari al 10%, mentre il 3% degli intervistati ha riferito di non sapere se fosse o meno affetto da diabete. Quasi tutti i soggetti con diagnosi di diabete hanno riferito di assumere almeno un farmaco per il diabete (inclusi insulina e ipoglicemizzanti).

Sono stati poi valutati i diversi fattori legati allo stile di vita noti per influenzare il rischio cardiovascolare. La prevalenza del fumo di tabacco (16%) è risultata invariata rispetto alla stessa survey svoltasi nel 2020, con un consumo medio di sigarette superiore a 20 sigarette/die nel 27% dei casi. Questo dato è ancora più sconfortante se si pensa che la maggioranza dei fumatori (85%) ha dichiarato di aver iniziato a fumare da più di 15 anni. Inoltre, il 9% degli intervistati ha riferito di essere esposto al fumo passivo, nella stragrande maggioranza dei quali per almeno 1 ora al giorno. Anche questo dato appare di notevole rilevanza se si considera l’importante impatto del fumo passivo sul rischio cardiovascolare.

Circa un individuo su cinque (il 21%) ha affermato di consumare alcolici abitualmente mentre il 34% degli intervistati ha riferito di aggiungere spesso o sempre sale agli alimenti. È noto come un eccessivo consumo di entrambi possa aumentare i valori pressori (10). Un altro alimento, largamente consumato dagli italiani e con possibili effetti sui valori pressori è il caffè. La maggior parte degli intervistati (74%) ha riportato di assumere da 1 a 3 caffè al giorno, per una media sul totale di 2 caffè. Un dato positivo è rappresentato dal fatto che circa la metà degli intervistati ha riferito di assumere 3-4 porzioni di frutta al giorno e il 60% di limitare il consumo di alimenti di origine animale, spesso ricchi di grassi, a non più di 4 volte a settimana. La frequenza dell’attività fisica nella popolazione in studio è risultata pressoché equamente ripartita tra chi affermava di svolgerne poca (30%), chi di svolgerla spesso (34%) e chi di non svolgerla affatto (36%); inoltre 3 persone su 4 hanno dichiarato di svolgere un lavoro sedentario o comunque di lieve impegno fisico. Un altro fattore che influenza il rischio cardiovascolare è lo stress. Alla domanda “ritiene di essere sotto stress?”, la risposta è risultata equamente ripartita tra le tre possibilità con il 26% che ha risposto “Quasi mai”, il 40% “Occasionalmente” e il 34% “Molto spesso”. La considerevole esposizione degli intervistati ai diversi fattori di rischio cardiovascolare appare di non trascurabile rilevanza in quanto la cronica azione lesiva dei diversi determinanti del rischio, da soli o variamente combinati, finisce per delineare un profilo di rischio cardiovascolare globale che dipende non tanto e non solo dall’esposizione “puntuale” a tali fattori di rischio quanto dall’intensità e dalla durata temporale dell’esposizione medesima.

Il sondaggio ha inoltre investigato la familiarità per malattie cardio e cerebrovascolari: il 41% ha riferito di avere parenti stretti (es. genitori, fratelli, sorelle) con problematiche di questo tipo. Questa percentuale è salita al 60% quando è stato chiesto di riferire la presenza di familiarità per ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia o diabete. Il combinarsi di fattori genetici, ambientali e di stile di vita è terreno fertile per l’insorgenza dell’ipertensione e delle sue complicanze cardio-cerebro-vascolari e renali.

 

3.2 Livelli di pressione arteriosa e rischio cardiovascolare percepito

Una volta analizzati questi fattori, è stata poi posta la domanda relativa al rischio percepito. L’analisi del livello di rischio percepito dagli utenti ha confermato una certa tendenza ad una “autoindulgenza” nella stima del proprio profilo di rischio visto che la larga maggioranza ha pensato di inquadrarsi in una scala arbitraria di rischio (da 1 a 5, rispettivamente basso, lieve, moderato, alto e molto alto) in una sorta di “comfort zone” (rischio basso nel 30,3% dei casi, lieve nel 35,7% e moderato nel 26,3%) mentre solo una minoranza di utenti ha pensato di doversi collocare nelle fasce di rischio alto (5,9%) o molto alto (1,9%). Questa percezione è stata poi confronta ai valori medi di pressione sistolica e diastolica rilevati in farmacia con misuratori automatici validati (media di 3 misurazioni effettuate in successione). Sulla scorta dei valori pressori rilevati, i pazienti sono stati suddivisi in fasce pressorie di riferimento sulla base delle linee guida ESC/ESH 2018. Un’ampia quota della popolazione ha presentato valori di pressione sistolica o diastolica ottimale o normale, mentre circa 1 individuo su 4 rientrava nella categoria degli ipertesi di grado 1, 2 o 3 (Figura 2).

Incrociando i valori pressori rilevati con le risposte fornire dai pazienti sulla presenza o meno di ipertensione nota, abbiamo individuato 4 categorie di pazienti: 1) chi riportava la presenza di ipertensione nota, ma mostrava valori pressori ben controllati (probabilmente grazie ad una terapia efficacie), 2) chi riferiva una storia di ipertensione nota e risultava iperteso alla misurazione, 3) chi non riferiva ipertensione nota e mostrava valori pressori nella norma e 4) chi non riferiva ipertensione nota ma risultava iperteso alla misurazione (Figura 3). Sebbene sia confortante osservare che la maggioranza degli individui del campione rientri nella categoria che non presenta né diagnosi per ipertensione né ha mostrato valori pressori oltre la soglia di 140/90 mmHg, desta comunque attenzione l’evidenza che 1 individuo su 7 (il 14%) rientra nella categoria degli “ipertesi inconsapevoli”.

Considerando coloro che sapevano di essere ipertesi, la quasi totalità assumeva farmaci ipertensivi. Tuttavia, quasi la metà (43%) dei pazienti ipertesi presentava valori pressori maggiori di 140/90 mmHg, indicazione evidente di quanto sia comune il fenomeno dell’ipertesione non controllata. È evidente che l’implementazione del controllo della pressione arteriosa rappresenti una importante area di intervento nei riguardi degli utenti delle farmacie in ragione della elevata prevalenza di questo fattore di rischio e del suo enorme impatto sul rischio cardiovascolare (8). Un intervento educazionale che migliori la consapevolezza del paziente sulla propria condizione di iperteso consente, infatti, di ottenerne il coinvolgimento fattivo nel progetto terapeutico più adeguato a ottimizzare il controllo pressorio e di minimizzare il rischio errori nell’assunzione dei farmaci.

Considerando soltanto i soggetti che non hanno riportato ipertensione nota, circa 1 su 4 ha mostrato valori pressori maggiori di 140/90 mmHg. Questa “fotografia” dello stato pressorio ci mostra come l’ipertensione, sebbene molto diffusa in questa popolazione, per lo più anziana, risulti ancora spesso poco monitorata: moltissimi degli ipertesi “consapevoli” hanno presumibilmente in atto terapie non adeguate a mantenere i valori pressori entro le soglie prestabilite, con una conseguente esposizione al rischio cardiovascolare. Peraltro, una quota non trascurabile di popolazione è esposta inconsapevolmente a tale rischio. In questo contesto, il ruolo del farmacista può incidere in modo significativo nella gestione del rischio cardiovascolare dei pazienti, sia attraverso una più precisa definizione del livello di rischio sia attraverso una sensibilizzazione degli utenti sull’importanza di un controllo adeguato dei fattori di rischio e di una ottimale osservanza dei suggerimenti forniti al riguardo dal medico curante. Il farmacista, peraltro, per sua naturale vocazione professionale è sempre molto orientato a fornire consigli sulle strategie di intervento non farmacologiche, tra cui spiccano per rilevanza le modifiche salutari dello stile di vita e, ove opportuno, la supplementazione nutrizionale, e sull’importanza dell’aderenza terapeutica. Le farmacie hanno dunque un ruolo centrale per la loro accessibilità e disponibilità di strumenti tecnici di facile utilizzo che permettano di fare ponte tra le dinamiche di vita quotidiana e una valutazione ed eventuale diagnosi clinica.

Il riscontro di elevati valori pressori nei pazienti che non avevano riportato la presenza di ipertensione nota è, purtroppo, un dato piuttosto ricorrente nella letteratura scientifica, al punto che ancora oggi la regola della metà relativamente al controllo della pressione arteriosa sembra avere mantenuto (invero inspiegabilmente…) immutata la sua validità: circa la metà dei pazienti ipertesi sa di esserlo, tra questi solo la metà viene trattata e tra i trattati solo la metà raggiunge un adeguato controllo pressorio (11,12,13). La possibilità di misurare la pressione in farmacia, di fornire informazioni su come misurare la pressione al proprio domicilio e sul significato da attribuire ai valori pressori rilevati in ambito domiciliare e, infine, la sensibilizzazione dei pazienti nei confronti dell’importanza strategica di essere aderenti alle prescrizioni farmacologiche e non farmacologiche per il trattamento dell’ipertensione, fa della farmacia il luogo dove il messaggio di salute può meglio coniugarsi con consigli gestionali pratici. A questo riguardo l’automisurazione domiciliare della pressione arteriosa – che nelle farmacie vede senza dubbio il più importante volano di promozione − rappresenta uno strumento ideale per incoraggiare il paziente a partecipare attivamente al trattamento, e quindi ad essere aderente, favorendo l’instaurarsi di una relazione medico-paziente caratterizzata da un buon grado di condivisione delle scelte terapeutiche (14). La farmacia rappresenta la sede ideale per apprendere le informazioni fondamentali sull’automisurazione della pressione arteriosa, sia direttamente dal farmacista che attraverso video tutorial e/o opuscoli informativi, e sperimentare direttamente la semplicità d’uso degli automisuratori della pressione arteriosa. Non deve sorprendere, quindi, che evidenze scientifiche dimostrino in modo convincente come la compartecipazione del farmacista alla gestione dell’ipertensione arteriosa si traduca in concreti vantaggi in termini di controllo pressorio (15,16). La misurazione domiciliare può rappresentare il fulcro intorno cui far ruotare al meglio una cooperazione gestionale medico-paziente-farmacista finalizzata ad un controllo ottimale dei valori pressori configurandosi, quindi, come un vero e proprio “strumento terapeutico” in quanto il suo uso diffuso può influenzare favorevolmente il successo terapeutico sia in termini di scelte di trattamento sia, soprattutto, in termini di coinvolgimento del paziente nel progetto assistenziale.

 

3.3 Ipercolesterolemia, diabete e fibrillazione atriale

Per quanto riguarda i valori di colesterolemia rilevati della popolazione in studio, è stato osservato che ben il 30% di coloro che avevano risposto “No” o “Non so” alla domanda sulla presenza di un’ipercolesterolemia nota ha mostrato valori superiori ai 200 mg/dL. La distribuzione dei valori del colesterolo nei partecipanti al progetto ha mostrato una più ampia prevalenza nella fascia 160-200 mg/dL, appena prima del valore soglia di 200 mg/dL. Invero, la consapevolezza del proprio stato di normocolesterolemico o ipercolesterolemico non è agevole come nel caso dell’ipertensione arteriosa, per la quale i valori di normalità sono definiti da un’unica soglia per tutti i pazienti (140/90 mmHg per la pressione misurata in ambulatorio e 135/85 mmHg per la pressione misurata in ambito domiciliare) (8), in quanto i livelli desiderabili di colesterolemia variano in relazione al profilo di rischio del paziente (17).

Le farmacie hanno inoltre valutato i valori di glicemia dei soggetti: il range di glicemia a digiuno a più alta frequenza è risultato compreso tra valori di 80 e 110 mg/dL. Di coloro che non avevano riportato la presenza di diabete noto, circa il 4% ha mostrato valori di glicemia > 126 mg/dL, potenzialmente indice della presenza di diabete non noto. Da ultimo, merita menzione il riscontro del sospetto diagnostico di fibrillazione atriale in 41 soggetti che non avevano precedentemente riportato tale diagnosi, ossia l’1,1% dei partecipanti.

Questi dati sono di indiscutibile interesse in quanto dimostrano come l’uso diffuso di questi misuratori automatici potrebbe consentire di svelare la quota sommersa di pazienti con fibrillazione atriale nei quali l’indicazione all’uso della terapia anticoagulante rappresenta una precisa indicazione da parte delle linee guida (18). È evidente che la decisione se intraprendere (e con quale tempistica) successive indagini diagnostiche è sempre di pertinenza del medico di fiducia al quale è importante che il paziente segnali l’eventuale riscontro ripetuto di irregolarità del battito cardiaco. La precisa caratterizzazione dell’aritmia richiede sempre una valutazione elettrocardiografica (ECG basale, ECG dinamico delle 24 ore, loop recorder) anche se alcuni misuratori possono suggerire la possibile presenza di fibrillazione atriale con elevata sensibilità e specificità.

Ciò che viene richiesto ai moderni misuratori della pressione arteriosa, ovviamente, non è la capacità di porre una diagnosi certa di aritmia ma di segnalare la presenza di una qualsiasi generica irregolarità del ritmo. Queste molteplici informazioni che possono fornire i moderni dispostivi automatici per la misurazione pressoria implicano, ovviamente, l’uso di apparecchi validati da rigidi protocolli internazionali, requisito imprescindibile per poter sfruttare appieno i molteplici vantaggi derivanti dall’automisurazione della pressione arteriosa. Questo aspetto dovrebbe essere ben sottolineato al paziente che nell’acquisto dell’apparecchio può essere fuorviato da offerte particolarmente vantaggiose, soprattutto nel caso di acquisti online, dietro cui si nascondono non di rado apparecchi imprecisi o, comunque, non validati da rigidi protocolli internazionali.

 

  1. Conclusioni

I dati raccolti nel corso della seconda “edizione pandemica” del progetto “zero eventi cardio- e cerebrovascolari” forniscono una ulteriore dimostrazione di quanto sia importante il coinvolgimento delle farmacie in ogni strategia di intervento che miri a migliorare il controllo dei fattori di rischio cardiovascolare e, più in generale, lo stato di salute della nostra popolazione. La possibilità di identificare precocemente situazioni misconosciute di aumentato rischio cardiovascolare e di sensibilizzare gli utenti nei confronti delle problematiche cardiovascolari rappresenta una prerogativa della farmacia moderna ed una opportunità da valorizzare al massimo per cercare di ridurre ulteriormente il peso ancora troppo elevato di queste patologie nella nostra società. Questa opportunità era importante prima, lo è ancora di più oggi in ragione dell’ampliamento delle distanze sociali imposte dai disposti normativi per arginare la diffusione pandemica e da atteggiamenti individuali giustamente prudenziali che porterà le farmacie ancora di più al centro della rete assistenziale dei nostri pazienti.

 

 

Bibliografia

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Autore/i: Giovambattista Desideri, Serena Altamura

Università dell’Aquila, Dipartimento di Medicina Clinica, Sanità Pubblica, Scienze della Vita e dell’Ambiente

Figura 1
Figura 2
Figura 3
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Università dell’Aquila, Dipartimento di Medicina Clinica, Sanità Pubblica, Scienze della Vita e dell’Ambiente

Le malattie cardiovascolari rappresentano ancora oggi la principale causa di morte nel nostro paese, essendo responsabili del 44% di tutti i decessi. In particolare, la cardiopatia ischemica è la prima causa di morte in Italia rendendo conto del 28% di tutte le morti, mentre gli accidenti cerebrovascolari sono al terzo posto con il 13%, dopo i tumori (1,2). Chi sopravvive a un attacco cardiaco diventa un malato cronico, una condizione che modifica la qualità della vita e comporta notevoli costi economici per la società. Secondo i dati dell’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT), la prevalenza di cittadini affetti da invalidità cardiovascolare è pari al 4,4 per mille. Il 23,5% della spesa farmaceutica italiana (pari all’1,34% del prodotto interno lordo), è destinata a farmaci per il sistema cardiovascolare (2). Questi numeri danno una chiara misura di quanto sia importante implementare i programmi di prevenzione cardiovascolare nel nostro Paese.

 

  1. Il “paradosso della prevenzione”

Generalmente l’attenzione delle diverse strategie di prevenzione è rivolta alle persone ad alto rischio, perché in questo gruppo di individui la proporzione di eventi è molto elevata. Tuttavia, va sottolineato che il numero di eventi più elevato si registra nelle classi di rischio dove la popolazione è più ampia, anche se il rischio è più basso. Questo fenomeno, ben conosciuto in campo epidemiologico, è noto come “paradosso della prevenzione” che, per l’appunto, afferma che molte persone esposte ad un rischio piccolo possono produrre più casi di malattia di quanti ne producono poche persone esposte a un rischio elevato (3,4). Questo aspetto è di non trascurabile rilevanza in quanto gli interventi preventivi indirizzati ai pazienti a rischio elevato o molto elevato sono certamente efficaci ma si traducono a livello di popolazione in una riduzione degli eventi numericamente limitata in quanto la stragrande maggioranza degli eventi si verifica nel resto della popolazione che resta generalmente esclusa dai diversi programmi di prevenzione.

Negli uomini con un rischio cardiovascolare ≥ 20% (stimato secondo la carta del rischio Progetto Cuore) si verifica mediamente solo un quarto degli eventi totali mentre il restante 75% si verifica in soggetti con un più basso livello di rischio (3). La situazione è analoga nelle donne: le persone a rischio elevato generano solo una piccola parte degli eventi, il 4% (3). È evidente, quindi, che un basso livello di rischio al quale è esposta la larga maggioranza della popolazione produce, in termini assoluti, un danno maggiore di quello derivato da un rischio elevato al quale è esposto un piccolo gruppo di persone. È importante tenere a mente questi concetti per riflettere sull’attuale approccio alla prevenzione delle malattie cronico degenerative, un approccio sostanzialmente fondato su una distinzione tra “soggetti sani”, di cui interessarsi poco e nulla, e “soggetti a rischio”, individuati utilizzando come criterio di riferimento un determinato livello soglia, da trattare clinicamente con ricorso ai servizi sanitari e alla terapia farmacologica. Invero, gli interventi preventivi possono anche concentrarsi sugli individui a rischio più elevato, ma la prevenzione limitata a gruppi particolari di persone non produce risultati importanti se confrontata con un’azione di prevenzione rivolta all’intera popolazione, perché la maggior parte dei casi di infarto e ictus è legata all’esposizione di moltissimi individui a fattori di rischio moderatamente elevati (3). È evidente, quindi, che una buona strategia preventiva non deve occuparsi solo degli individui ad alto rischio, ma deve combinare l’approccio dell’alto rischio con un approccio mirato anche alle persone a rischio moderato o basso, prevedendo interventi che in questi individui mirino a determinare riduzioni anche modeste dei diversi fattori di rischio che, tuttavia, a livello di popolazione possono tradursi in una prevenzione cardiovascolare di ampia portata.

 

  1. Approccio preventivo di popolazione e approccio preventivo individuale per soggetti ad alto rischio

Geoffrey Rose, un grande epidemiologo, ha teorizzato in modo estremamente puntuale due approcci cardine della strategia preventiva nel suo articolo Sick individuals and sick populations, pubblicato per la prima volta nel 1985 e poi riportato nuovamente all’attenzione dei clinici nel 2001. I due approcci da tenere assolutamente in considerazione sono: l’approccio preventivo di popolazione e l’approccio preventivo individuale per soggetti ad alto rischio (5).

L’approccio preventivo di popolazione si basa sostanzialmente sull’abbassamento del livello medio dei fattori di rischio, spostando l’intera distribuzione dell’esposizione al rischio in una direzione favorevole (5). Un intervento precoce, condotto in soggetti in cui i determinanti del rischio cardiovascolare sono ancora di lieve entità e non hanno prodotto alterazioni tali da non essere più completamente reversibili, ha in sé tutte le potenzialità per azzerare il rischio del paziente (6). All’opposto, un intervento tardivo, pur essendo estremamente efficace nel ridurre il rischio, non è in grado di annullare completamente il rischio medesimo in quanto permane comunque un livello di “rischio residuo” tanto maggiore quanto più elevato è il rischio di base (7). Queste considerazioni sono alla base della raccomandazione the earlier the better supportata da tutte le linee guida di prevenzione cardiovascolare che opportunamente suggeriscono un controllo ottimale e precoce dei fattori di rischio (8). Il principale svantaggio della strategia di popolazione sta nel fatto che offre solo un piccolo beneficio a ciascun individuo, dato che la maggior parte delle persone sarebbero state bene comunque, almeno per molti anni. Una misura preventiva che porta molti vantaggi alla popolazione, infatti, nell’immediato offre poco a ogni singolo partecipante (3).

L’approccio preventivo individuale per soggetti ad alto rischio si applica a soggetti particolarmente suscettibili a sviluppare un determinato evento morboso. La strategia presenta alcuni vantaggi evidenti, quali il fatto di produrre interventi che sono adatti specificamente per gli individui a cui vengono consigliati, di aumentare la motivazione tanto nei medici quanto nei pazienti, di consentire un utilizzo più efficace delle risorse con costi relativamente limitati e di offrire un rapporto rischi-benefici più favorevole. Se si prevede, infatti, che l’intervento potrà avere qualche effetto avverso o costoso, e se il rischio e il costo sono quasi uguali per tutti, allora il rapporto tra costi e benefici sarà più favorevole dove i vantaggi sono maggiori (5). L’approccio preventivo individuale per soggetti ad alto rischio presenta la sua principale limitazione nella aleatorietà connessa al concetto di rischio cardiovascolare. Gran parte degli individui con fattori di rischio saranno in salute per anni, anche in assenza di interventi preventivi. Al contrario, una malattia imprevista può colpire qualcuno che è appena risultato negativo ad uno screening.

Entrambi gli approcci hanno una documentata validità ma il presupposto fondamentale per una piena efficacia è rappresentato dalla loro completa e diffusa applicazione. Invero, ampie fasce di popolazione a rischio cardiovascolare basso o moderato sfuggono agli interventi di prevenzione – nella generalità dei casi basati su “semplici” modifiche dello stile di vita o limitati interventi farmacologici – in quanto si tratta per lo più di giovani adulti in buone condizioni di salute che proprio in ragione di ciò raramente si confrontano con il medico curante. Del pari sconfortante è l’analisi del controllo dei fattori di rischio cardiovascolare nei soggetti a rischio cardiovascolare elevato o molto elevato. I dati dell’European Action on Secondary and Primary Prevention by Intervention to Reduce Events (EUROASPIRE) V dimostrano che ampie fasce di popolazione a rischio cardiovascolare elevato o molto elevato continuano a seguire uno stile di vita poco salutare e non raggiungono un controllo soddisfacente dei principali fattori di rischio cardiovascolare: ipertensione, diabete e dislipidemia (9).

 

  1. Esiti del progetto “Zero eventi cardio- e cerebrovascolari” 2021

Quanto sopra esposto dimostra una stringente necessità di ampliare gli ambiti di intervento delle strategie di prevenzione per implementare sia gli interventi a livello di popolazione che quelli sui soggetti ad alto rischio. Certamente le farmacie rappresentano una sede ideale per veicolare, in modo professionale e credibile, i messaggi di prevenzione in tutte le fasce di popolazione. Questo solido convincimento ha rappresentato la base su cui è stato sviluppato il progetto “zero eventi cardio- e cerebrovascolari”, nato alcuni anni orsono sotto l’egida della Fondazione per la ricerca sull’ipertensione arteriosa della Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa (SIIA) e della Società Italiana di Medicina Generale e delle cure primarie (SIMG) con l’intento di sensibilizzare gli utenti delle farmacie nei riguardi dei fattori di rischio cardiovascolare, ipertensione in primis. Oggi più che mai le farmacie rappresentano, infatti, importanti strutture di riferimento per i pazienti in ragione della loro diffusione capillare e dei preziosi consigli che possono fornire agli utenti in tema di salute. È evidente, quindi, che le farmacie sono un riferimento di grande utilità per le iniziative di promozione della salute e del benessere e di prevenzione delle malattie cardiovascolari.

Il progetto, riproposto nella sua nuova edizione 2021, ha visto la partecipazione di numerose farmacie su tutto il territorio nazionale che hanno ospitato, in spazi dedicati, infermieri professionali che hanno somministrato agli utenti delle farmacie un questionario sulla stima del rischio cardiovascolare e misurato la pressione arteriosa con apparecchi automatici messi cortesemente a disposizione dalla CORMAN. Il progetto prevedeva anche la dispensazione di consigli da parte degli infermieri adeguatamente formati sugli stili di vita più salutari e sull’importanza dell’aderenza alle terapie prescritte dal medico e la distribuzione di materiale informativo. Gli utenti che si sono mostrati interessati hanno ricevuto anche informazioni sulla corretta misurazione della pressione arteriosa a livello domiciliare e sull’interpretazione dei valori misurati.

 

3.1 Caratteristiche del campione d’analisi

L’elevato numero di utenti che hanno aderito al progetto nel 2021 – ben 4.169 – dimostra chiaramente il ruolo strategico delle farmacie anche, e soprattutto, nelle condizioni di maggiori criticità quali quelle imposte dalla attuale pandemia. Il campione finale su cui sono state calcolate le frequenze riportate qui di seguito consisteva di 3.728 utenti (per l’esclusione di 441 partecipanti per dati incompleto o parziali). Di questi, il 65% erano donne ed erano principalmente over 70 (29%) o appartenenti alla fascia d’età 60-69 anni (28%) o 50-59 anni (24%). I giovani erano decisamente meno rappresentati (12% di età compresa tra 40 e 49 anni e 7% di età < 40 anni). La distribuzione dell’età è simile se si considerano donne e uomini separatamente (Figura 1). Questa distribuzione demografica può essere indicativa sia di come i soggetti anziani siano quelli che maggiormente necessitino di supporto da parte delle farmacie, sia di come essi abbiano un maggiore interesse nel partecipare a iniziative quali la survey in oggetto.

La prevalenza dell’ipertensione arteriosa nel campione analizzato è risultata elevata, con il 41% degli utenti che ha dichiarato di sapere di essere iperteso e il 4% che ha affermato di non sapere. Solo il 2% ha riferito di essere affetto da fibrillazione atriale, mentre la prevalenza di ipercolesterolemia nota è risultata essere del 43%. Il 68% dei soggetti consapevoli di essere ipercolesterolemici ha riferito di assumere nutraceutici o integratori, da soli o in associazione a farmaci ipocolesterolemizzanti. Per contro, il 9% degli intervistati non ha saputo riferire in merito alla propria colesterolemia e il 47,5% ha affermato di non avere il colesterolo alto. Infine, la prevalenza del diabete noto è risultata pari al 10%, mentre il 3% degli intervistati ha riferito di non sapere se fosse o meno affetto da diabete. Quasi tutti i soggetti con diagnosi di diabete hanno riferito di assumere almeno un farmaco per il diabete (inclusi insulina e ipoglicemizzanti).

Sono stati poi valutati i diversi fattori legati allo stile di vita noti per influenzare il rischio cardiovascolare. La prevalenza del fumo di tabacco (16%) è risultata invariata rispetto alla stessa survey svoltasi nel 2020, con un consumo medio di sigarette superiore a 20 sigarette/die nel 27% dei casi. Questo dato è ancora più sconfortante se si pensa che la maggioranza dei fumatori (85%) ha dichiarato di aver iniziato a fumare da più di 15 anni. Inoltre, il 9% degli intervistati ha riferito di essere esposto al fumo passivo, nella stragrande maggioranza dei quali per almeno 1 ora al giorno. Anche questo dato appare di notevole rilevanza se si considera l’importante impatto del fumo passivo sul rischio cardiovascolare.

Circa un individuo su cinque (il 21%) ha affermato di consumare alcolici abitualmente mentre il 34% degli intervistati ha riferito di aggiungere spesso o sempre sale agli alimenti. È noto come un eccessivo consumo di entrambi possa aumentare i valori pressori (10). Un altro alimento, largamente consumato dagli italiani e con possibili effetti sui valori pressori è il caffè. La maggior parte degli intervistati (74%) ha riportato di assumere da 1 a 3 caffè al giorno, per una media sul totale di 2 caffè. Un dato positivo è rappresentato dal fatto che circa la metà degli intervistati ha riferito di assumere 3-4 porzioni di frutta al giorno e il 60% di limitare il consumo di alimenti di origine animale, spesso ricchi di grassi, a non più di 4 volte a settimana. La frequenza dell’attività fisica nella popolazione in studio è risultata pressoché equamente ripartita tra chi affermava di svolgerne poca (30%), chi di svolgerla spesso (34%) e chi di non svolgerla affatto (36%); inoltre 3 persone su 4 hanno dichiarato di svolgere un lavoro sedentario o comunque di lieve impegno fisico. Un altro fattore che influenza il rischio cardiovascolare è lo stress. Alla domanda “ritiene di essere sotto stress?”, la risposta è risultata equamente ripartita tra le tre possibilità con il 26% che ha risposto “Quasi mai”, il 40% “Occasionalmente” e il 34% “Molto spesso”. La considerevole esposizione degli intervistati ai diversi fattori di rischio cardiovascolare appare di non trascurabile rilevanza in quanto la cronica azione lesiva dei diversi determinanti del rischio, da soli o variamente combinati, finisce per delineare un profilo di rischio cardiovascolare globale che dipende non tanto e non solo dall’esposizione “puntuale” a tali fattori di rischio quanto dall’intensità e dalla durata temporale dell’esposizione medesima.

Il sondaggio ha inoltre investigato la familiarità per malattie cardio e cerebrovascolari: il 41% ha riferito di avere parenti stretti (es. genitori, fratelli, sorelle) con problematiche di questo tipo. Questa percentuale è salita al 60% quando è stato chiesto di riferire la presenza di familiarità per ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia o diabete. Il combinarsi di fattori genetici, ambientali e di stile di vita è terreno fertile per l’insorgenza dell’ipertensione e delle sue complicanze cardio-cerebro-vascolari e renali.

 

3.2 Livelli di pressione arteriosa e rischio cardiovascolare percepito

Una volta analizzati questi fattori, è stata poi posta la domanda relativa al rischio percepito. L’analisi del livello di rischio percepito dagli utenti ha confermato una certa tendenza ad una “autoindulgenza” nella stima del proprio profilo di rischio visto che la larga maggioranza ha pensato di inquadrarsi in una scala arbitraria di rischio (da 1 a 5, rispettivamente basso, lieve, moderato, alto e molto alto) in una sorta di “comfort zone” (rischio basso nel 30,3% dei casi, lieve nel 35,7% e moderato nel 26,3%) mentre solo una minoranza di utenti ha pensato di doversi collocare nelle fasce di rischio alto (5,9%) o molto alto (1,9%). Questa percezione è stata poi confronta ai valori medi di pressione sistolica e diastolica rilevati in farmacia con misuratori automatici validati (media di 3 misurazioni effettuate in successione). Sulla scorta dei valori pressori rilevati, i pazienti sono stati suddivisi in fasce pressorie di riferimento sulla base delle linee guida ESC/ESH 2018. Un’ampia quota della popolazione ha presentato valori di pressione sistolica o diastolica ottimale o normale, mentre circa 1 individuo su 4 rientrava nella categoria degli ipertesi di grado 1, 2 o 3 (Figura 2).

Incrociando i valori pressori rilevati con le risposte fornire dai pazienti sulla presenza o meno di ipertensione nota, abbiamo individuato 4 categorie di pazienti: 1) chi riportava la presenza di ipertensione nota, ma mostrava valori pressori ben controllati (probabilmente grazie ad una terapia efficacie), 2) chi riferiva una storia di ipertensione nota e risultava iperteso alla misurazione, 3) chi non riferiva ipertensione nota e mostrava valori pressori nella norma e 4) chi non riferiva ipertensione nota ma risultava iperteso alla misurazione (Figura 3). Sebbene sia confortante osservare che la maggioranza degli individui del campione rientri nella categoria che non presenta né diagnosi per ipertensione né ha mostrato valori pressori oltre la soglia di 140/90 mmHg, desta comunque attenzione l’evidenza che 1 individuo su 7 (il 14%) rientra nella categoria degli “ipertesi inconsapevoli”.

Considerando coloro che sapevano di essere ipertesi, la quasi totalità assumeva farmaci ipertensivi. Tuttavia, quasi la metà (43%) dei pazienti ipertesi presentava valori pressori maggiori di 140/90 mmHg, indicazione evidente di quanto sia comune il fenomeno dell’ipertesione non controllata. È evidente che l’implementazione del controllo della pressione arteriosa rappresenti una importante area di intervento nei riguardi degli utenti delle farmacie in ragione della elevata prevalenza di questo fattore di rischio e del suo enorme impatto sul rischio cardiovascolare (8). Un intervento educazionale che migliori la consapevolezza del paziente sulla propria condizione di iperteso consente, infatti, di ottenerne il coinvolgimento fattivo nel progetto terapeutico più adeguato a ottimizzare il controllo pressorio e di minimizzare il rischio errori nell’assunzione dei farmaci.

Considerando soltanto i soggetti che non hanno riportato ipertensione nota, circa 1 su 4 ha mostrato valori pressori maggiori di 140/90 mmHg. Questa “fotografia” dello stato pressorio ci mostra come l’ipertensione, sebbene molto diffusa in questa popolazione, per lo più anziana, risulti ancora spesso poco monitorata: moltissimi degli ipertesi “consapevoli” hanno presumibilmente in atto terapie non adeguate a mantenere i valori pressori entro le soglie prestabilite, con una conseguente esposizione al rischio cardiovascolare. Peraltro, una quota non trascurabile di popolazione è esposta inconsapevolmente a tale rischio. In questo contesto, il ruolo del farmacista può incidere in modo significativo nella gestione del rischio cardiovascolare dei pazienti, sia attraverso una più precisa definizione del livello di rischio sia attraverso una sensibilizzazione degli utenti sull’importanza di un controllo adeguato dei fattori di rischio e di una ottimale osservanza dei suggerimenti forniti al riguardo dal medico curante. Il farmacista, peraltro, per sua naturale vocazione professionale è sempre molto orientato a fornire consigli sulle strategie di intervento non farmacologiche, tra cui spiccano per rilevanza le modifiche salutari dello stile di vita e, ove opportuno, la supplementazione nutrizionale, e sull’importanza dell’aderenza terapeutica. Le farmacie hanno dunque un ruolo centrale per la loro accessibilità e disponibilità di strumenti tecnici di facile utilizzo che permettano di fare ponte tra le dinamiche di vita quotidiana e una valutazione ed eventuale diagnosi clinica.

Il riscontro di elevati valori pressori nei pazienti che non avevano riportato la presenza di ipertensione nota è, purtroppo, un dato piuttosto ricorrente nella letteratura scientifica, al punto che ancora oggi la regola della metà relativamente al controllo della pressione arteriosa sembra avere mantenuto (invero inspiegabilmente…) immutata la sua validità: circa la metà dei pazienti ipertesi sa di esserlo, tra questi solo la metà viene trattata e tra i trattati solo la metà raggiunge un adeguato controllo pressorio (11,12,13). La possibilità di misurare la pressione in farmacia, di fornire informazioni su come misurare la pressione al proprio domicilio e sul significato da attribuire ai valori pressori rilevati in ambito domiciliare e, infine, la sensibilizzazione dei pazienti nei confronti dell’importanza strategica di essere aderenti alle prescrizioni farmacologiche e non farmacologiche per il trattamento dell’ipertensione, fa della farmacia il luogo dove il messaggio di salute può meglio coniugarsi con consigli gestionali pratici. A questo riguardo l’automisurazione domiciliare della pressione arteriosa – che nelle farmacie vede senza dubbio il più importante volano di promozione − rappresenta uno strumento ideale per incoraggiare il paziente a partecipare attivamente al trattamento, e quindi ad essere aderente, favorendo l’instaurarsi di una relazione medico-paziente caratterizzata da un buon grado di condivisione delle scelte terapeutiche (14). La farmacia rappresenta la sede ideale per apprendere le informazioni fondamentali sull’automisurazione della pressione arteriosa, sia direttamente dal farmacista che attraverso video tutorial e/o opuscoli informativi, e sperimentare direttamente la semplicità d’uso degli automisuratori della pressione arteriosa. Non deve sorprendere, quindi, che evidenze scientifiche dimostrino in modo convincente come la compartecipazione del farmacista alla gestione dell’ipertensione arteriosa si traduca in concreti vantaggi in termini di controllo pressorio (15,16). La misurazione domiciliare può rappresentare il fulcro intorno cui far ruotare al meglio una cooperazione gestionale medico-paziente-farmacista finalizzata ad un controllo ottimale dei valori pressori configurandosi, quindi, come un vero e proprio “strumento terapeutico” in quanto il suo uso diffuso può influenzare favorevolmente il successo terapeutico sia in termini di scelte di trattamento sia, soprattutto, in termini di coinvolgimento del paziente nel progetto assistenziale.

 

3.3 Ipercolesterolemia, diabete e fibrillazione atriale

Per quanto riguarda i valori di colesterolemia rilevati della popolazione in studio, è stato osservato che ben il 30% di coloro che avevano risposto “No” o “Non so” alla domanda sulla presenza di un’ipercolesterolemia nota ha mostrato valori superiori ai 200 mg/dL. La distribuzione dei valori del colesterolo nei partecipanti al progetto ha mostrato una più ampia prevalenza nella fascia 160-200 mg/dL, appena prima del valore soglia di 200 mg/dL. Invero, la consapevolezza del proprio stato di normocolesterolemico o ipercolesterolemico non è agevole come nel caso dell’ipertensione arteriosa, per la quale i valori di normalità sono definiti da un’unica soglia per tutti i pazienti (140/90 mmHg per la pressione misurata in ambulatorio e 135/85 mmHg per la pressione misurata in ambito domiciliare) (8), in quanto i livelli desiderabili di colesterolemia variano in relazione al profilo di rischio del paziente (17).

Le farmacie hanno inoltre valutato i valori di glicemia dei soggetti: il range di glicemia a digiuno a più alta frequenza è risultato compreso tra valori di 80 e 110 mg/dL. Di coloro che non avevano riportato la presenza di diabete noto, circa il 4% ha mostrato valori di glicemia > 126 mg/dL, potenzialmente indice della presenza di diabete non noto. Da ultimo, merita menzione il riscontro del sospetto diagnostico di fibrillazione atriale in 41 soggetti che non avevano precedentemente riportato tale diagnosi, ossia l’1,1% dei partecipanti.

Questi dati sono di indiscutibile interesse in quanto dimostrano come l’uso diffuso di questi misuratori automatici potrebbe consentire di svelare la quota sommersa di pazienti con fibrillazione atriale nei quali l’indicazione all’uso della terapia anticoagulante rappresenta una precisa indicazione da parte delle linee guida (18). È evidente che la decisione se intraprendere (e con quale tempistica) successive indagini diagnostiche è sempre di pertinenza del medico di fiducia al quale è importante che il paziente segnali l’eventuale riscontro ripetuto di irregolarità del battito cardiaco. La precisa caratterizzazione dell’aritmia richiede sempre una valutazione elettrocardiografica (ECG basale, ECG dinamico delle 24 ore, loop recorder) anche se alcuni misuratori possono suggerire la possibile presenza di fibrillazione atriale con elevata sensibilità e specificità.

Ciò che viene richiesto ai moderni misuratori della pressione arteriosa, ovviamente, non è la capacità di porre una diagnosi certa di aritmia ma di segnalare la presenza di una qualsiasi generica irregolarità del ritmo. Queste molteplici informazioni che possono fornire i moderni dispostivi automatici per la misurazione pressoria implicano, ovviamente, l’uso di apparecchi validati da rigidi protocolli internazionali, requisito imprescindibile per poter sfruttare appieno i molteplici vantaggi derivanti dall’automisurazione della pressione arteriosa. Questo aspetto dovrebbe essere ben sottolineato al paziente che nell’acquisto dell’apparecchio può essere fuorviato da offerte particolarmente vantaggiose, soprattutto nel caso di acquisti online, dietro cui si nascondono non di rado apparecchi imprecisi o, comunque, non validati da rigidi protocolli internazionali.

 

  1. Conclusioni

I dati raccolti nel corso della seconda “edizione pandemica” del progetto “zero eventi cardio- e cerebrovascolari” forniscono una ulteriore dimostrazione di quanto sia importante il coinvolgimento delle farmacie in ogni strategia di intervento che miri a migliorare il controllo dei fattori di rischio cardiovascolare e, più in generale, lo stato di salute della nostra popolazione. La possibilità di identificare precocemente situazioni misconosciute di aumentato rischio cardiovascolare e di sensibilizzare gli utenti nei confronti delle problematiche cardiovascolari rappresenta una prerogativa della farmacia moderna ed una opportunità da valorizzare al massimo per cercare di ridurre ulteriormente il peso ancora troppo elevato di queste patologie nella nostra società. Questa opportunità era importante prima, lo è ancora di più oggi in ragione dell’ampliamento delle distanze sociali imposte dai disposti normativi per arginare la diffusione pandemica e da atteggiamenti individuali giustamente prudenziali che porterà le farmacie ancora di più al centro della rete assistenziale dei nostri pazienti.

 

 

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Autore/i: Giovambattista Desideri, Serena Altamura

Università dell’Aquila, Dipartimento di Medicina Clinica, Sanità Pubblica, Scienze della Vita e dell’Ambiente

Figura 1
Figura 2
Figura 3

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