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Comment to Giovambattista Desideri

Dipartimento di Medicina Clinica Sanità Pubblica Scienze della Vita e dell’Ambiente, Università degli Studi dell’Aquila

In Italia e nella maggior parte dei Paesi occidentali la durata media della vita all’inizio del Terzo Millennio ha raggiunto valori che fino ai primi anni del ’900 non erano neanche lontanamente immaginabili (1). Questo importante guadagno di “anni alla vita” rappresenta il frutto combinato delle migliori condizioni di vita della popolazione e dei continui progressi in medicina e nell’organizzazione sanitaria che hanno contribuito a ridurre notevolmente i rischi di morte a tutte le età (1). Nel nostro Paese il peso delle malattie cardiovascolari dal 1971 al 2000 è mediamente diminuito in tutte le fasce di età pur rimanendo la principale causa di decesso per entrambi i sessi dopo i 65 anni (2). Il più importante determinante del sostanziale dimezzamento della mortalità totale che si è osservato nel corso degli ultimi 40 anni è stato proprio il declino della mortalità per malattie cardiovascolari stimato nella misura del 63%. Circa il 40% di questa riduzione è da ricondurre a trattamenti specifici, principalmente alle terapie per lo scompenso cardiaco (14%) e per la prevenzione secondaria dopo un infarto del miocardio o una rivascolarizzazione (6%) (3). Non meno rilevante è stato il contributo alla riduzione della mortalità cardiovascolare derivante dall’implementazione del controllo dei fattori di rischio cardiovascolare, in primis l’ipertensione arteriosa che singolarmente spiega circa il 25% della diminuzione dei decessi per cardiopatia coronarica osservata in Italia tra il 1980 ed il 2000 (3). Invero, il controllo di questi fattori di rischio continua ad essere ancora oggi largamente insoddisfacente nella maggioranza dei pazienti (4) nonostante la disponibilità di risorse terapeutiche efficaci e ben tollerate che potrebbero consentire di portare senza troppe difficoltà la pressione ai target raccomandati dalle linee guida (5). Questo aspetto è di non trascurabile rilevanza se si considera che il considerevole guadagno in termini di aspettativa di vita che abbiamo osservato nel corso degli ultimi decenni in ragione della migliore gestione delle problematiche cardiovascolari non ha comportato un concreto miglioramento della sopravvivenza libera da disabilità (1). Tra la popolazione degli ultrasessantacinquenni, infatti, il 40% è affetto da almeno una malattia cronica, il 18% ha limitazioni funzionali nelle attività della vita quotidiana (disabilità), il 68% delle persone con disabilità presenta almeno 3 malattie croniche, l’8% è confinato in casa (1). Una gestione non ottimale dell’ipertensione arteriosa, in termini di precocità e di adeguatezza dell’intervento terapeutico, nel corso degli anni finisce per determinare un progressivo esaurimento della riserva funzionale di organi ed apparati – soprattutto cuore, cervello, rene – che nell’età adulta-avanzata assume di volta in volta diverse connotazioni cliniche, dallo scompenso cardiaco all’insufficienza renale, dagli eventi cerebrovascolari alla demenza. è evidente, quindi, l’opportunità di un controllo ottimale della pressione arteriosa per poter dare “vita agli anni” che i progressi della medicina hanno consentito di guadagnare (1).

L’ipertensione arteriosa, infatti, è attualmente il più importante fattori di rischio cardiovascolare nel mondo (6) con una diretta responsabilità su una larga quota della mortalità e morbilità per patologie cardiache, cerebrali e renali (7). Esiste, infatti, una relazione lineare tra valori pressori e mortalità per infarto miocardico ed ictus (8) e tra la riduzione della pressione e la riduzione degli eventi cardio- e cerebrovascolari (9,10,11). Una recente ed ampia revisione cumulativa della letteratura ad opera di Thomopoulos e coll. (11) ha dimostrato come una maggiore riduzione pressoria sia immancabilmente associata ad una riduzione di tutte le principali complicanze attribuibili all’ipertensione. Una riduzione di 10 mmHg della pressione sistolica e di 5 mmHg della pressione diastolica determina una corrispondente riduzione di oltre il 25% dell’incidenza di cardiopatia ischemica e di oltre il 35% del rischio di complicanze cerebrovascolari (10). Le linee guida 2018 per la gestione dell’ipertensione arteriosa, elaborate congiuntamente dall’European Society fo Hypertension (ESH) e dall’European Society of Cardiology (ESC), hanno tracciato in modo piuttosto semplice i cardini su cui deve poggiare la gestione del paziente iperteso: target pressori unificati per la generalità dei pazienti ipertesi (<140/90 mmHg), uso preferenziale della terapia di combinazione ed implementazione dell’aderenza terapeutica (5). Le linee guida pongono opportunamente l’accento sull’importanza di un uso sempre più ampio della misurazione della pressione arteriosa al di fuori dello studio medico, soprattutto in ambito domiciliare, e sul ruolo strategico del farmacista nell’educazione e nel monitoraggio del paziente iperteso (5).

Invero, la misurazione domiciliare della pressione arteriosa presenta innegabili vantaggi sia dal punto di vista diagnostico che terapeutico. Numerosi studi clinici hanno documentano il valore prognostico della pressione arteriosa domiciliare (12,13,14), dimostrando come essa possa rappresentare un predittore di rischio migliore della pressione arteriosa misurata nell’ambulatorio (pressione “clinica”) (15). Inoltre, la misurazione domiciliare della pressione arteriosa permette il corretto inquadramento dei pazienti con “ipertensione da camice bianco” o “ipertensione clinica isolata” (pressione misurata in ambulatorio aumentata e pressione domiciliare normale) e di quelli con “ipertensione mascherata” (pressione misurata in ambulatorio normale e pressione domiciliare aumentata) (16). A queste diverse categorie di pazienti ipertesi compete un diverso livello di rischio cardiovascolare (12,15) che sembra venire diversamente influenzato dal trattamento (17) (Fig. 1): per la “ipertensione mascherata”, è simile a quello dei pazienti francamente ipertesi indipendentemente dal trattamento, mentre per la “ipertensione da camice” è simile a quello dei soggetti normotesi in corso di trattamento e simile a quello degli ipertesi in assenza di trattamento (17). è evidente, quindi, l’importanza della misurazione domiciliare della pressione arteriosa per una corretta diagnosi di ipertensione arteriosa e per la stratificazione del rischio cardiovascolare del paziente iperteso. La misurazione domiciliare della pressione arteriosa è anche utile nella gestione a lungo termine dei pazienti ipertesi in quanto il suo uso è associato ad un migliore controllo dei valori pressori (18), probabilmente in ragione del miglior coinvolgimento dei pazienti nella gestione della loro condizione, favorendo l’aderenza terapeutica (19). Inoltre, la misurazione della pressione arteriosa in diversi momenti della giornata può consentire di valutare la copertura nell’arco della giornata dei diversi interventi farmacologici (20) o di individuare riduzioni pressorie eccessive, non infrequenti nei ipertesi anziani, diabetici o coronaropatici (16). Questi innegabili vantaggi della misurazione domiciliare della pressione arteriosa presuppongono, ovviamente, l’attendibilità dei valori pressori rilevanti. Le condizioni di misurazione devono essere, quindi, standardizzate utilizzando solo misuratori oscillometrici completamente automatizzati, con manicotto di dimensioni adeguate e da applicare al braccio (non al polso o al dito), validati in base a protocolli internazionalmente riconosciuti (16).

Per ciò che attiene al ruolo del farmacista nell’implementazione del controllo pressorio, senza dubbio questa figura professionale è quella che maggiormente coopera con il medico di medicina generale nella gestione delle patologie croniche, ipertensione in primis. A tale riguardo, la misurazione della pressione arteriosa è stata una delle prime e più efficaci iniziative che le farmacie hanno opportunamente messo in campo in un’ottica di servizio al paziente più che di semplice dispensazione di farmaci. Oggi, grazie alla diffusione capillare sul territorio, anche nei piccoli centri dove spesso rappresentano l’unico presidio sanitario, ed al consolidato rapporto di fiducia che le lega ai pazienti le farmacie stanno assumendo una connotazione non solo limitata alla semplice dispensazione ma orientata verso un supporto clinico al paziente. In molte realtà il supporto ai pazienti con malattie croniche e politerapie è la norma per il farmacista in collaborazione con i medici di medicina generale e senza alcun conflitto di competenze. Robuste evidenze scientifiche dimostrano come la gestione collaborativa tra medico di medicina generale e farmacista si traduca in un implementazione del controllo di patologie croniche ad elevato impatto clinico e socio-sanitario quali l’ipertensione arteriosa (21) (Fig. 2) ed il diabete, con le facilmente immaginabili ricadute favorevoli in termini di costo-efficacia (21,22). I vantaggi del lavoro in tandem medico di medicina generale-farmacista sono senza dubbio molteplici e si concretizzano in una migliore aderenza alle terapie prescritte ed in un più efficace controllo delle patologie croniche in quanto questa cooperazione consente di sviluppare un modello di patient-centered care che soddisfa appieno i bisogni assistenziali del paziente, necessariamente anche educativi, formativi/informativi e di counseling (21).

 

 

Bibliografia

  1. Quaderni del Ministero della Salute. Criteri di appropriatezza clinica, tecnologica e strutturale nell’assistenza all’anziano. n. 6, novembre-dicembre 2010 – ISSN 2038-5293 http:// www.salute.gov.it/portale/documentazione/p6_2_2_1.jsp?lingua=italiano&id=1703
  2. Murray CJ, Lopez AD. Alternative projections of mortality and disability by cause 1990- 2020: Global Burden of Disease Study. Lancet 1997;349:1498-504.
  3. Palmieri L, Bennett K, Giampaoli S, et al. S. Explaining the Decrease in Coronary Heart Disease Mortality in Italy between 1980 and 2000. Am J Public Health 2009;99:1-9
  4. Tocci G, Nati G, Cricelli C, et al. Prevalence and Control of Hypertension in Different Macro-Areas in Italy: Analysis of a Large Database by the General Practice. High Blood Press Cardiovasc Prev. 2016 Dec;23(4):387-393
  5. Williams B, Mancia G, Spiering W, et al. ESC Scientific Document Group. 2018 ESC/ESH Guidelines for the management of arterial hypertension. Eur Heart J. 2018 Sep 1;39(33):3021-3104.
  6. GBD 2013 Risk Factors Collaborators, Forouzanfar MH, Alexander L, Anderson HR, et al. Global, regional, and national comparative risk assessment of 79 behavioural, environmental and occupational, and metabolic risks or clusters of risks in 188 countries, 1990-2013: a systematic analysis for the Global Burden of Disease Study 2013. Lancet. 2015 Dec 5;386(10010):2287-323.
  7. Hozawa A. Attributable fractions of risk factors for cardiovascular diseases. J Epidemiol. 2011;21(2):81-6.
  8. Lewington S, Clarke R, Qizilbash N, et al. Prospective Studies Collaboration. Age-specific relevance of usual blood pressure to vascular mortality: a meta-analysis of individual data for one million adults in 61 prospective studies. Lancet. 2002 Dec 14;360(9349):1903-13.
  9. Law MR, Morris JK, Wald NJ. Use of blood pressure lowering drugs in the prevention of cardiovascular disease: meta-analysis of 147 randomised trials in the context of expectations from prospective epidemiological studies. BMJ 2009;338:b1665 doi:10.1136/bmj.b1665
  10. Zanchetti A, Thomopoulos C, Parati G. Randomized controlled trials of blood pressure lowering in hypertension: a critical reappraisal. Circ Res. 2015 Mar 13;116(6):1058-73.
  11. Thomopoulos C, Parati G, Zanchetti A. Effects of blood pressure lowering on outcome incidence in hypertension: 7. Effects of more vs. less intensive blood pressure lowering and different achieved blood pressure levels – updated overview and meta-analyses of randomized trials. J Hypertens. 2016 Apr;34(4):613-22.
  12. Mancia G, Facchetti R, Bombelli M, et . Long-term risk of mortality associated with selective and combined elevation in office, home, and ambulatory blood pressure. Hypertension 2006;47(5):846-53.
  13. Ohkubo T, Asayama K, Kikuya M, et al. How many times should blood pressure be measured at home for better prediction of stroke risk? Ten year follow-up results from the Ohasama study. J Hypertens 2004; 22(6):1099-104.
  14. Stergiou GS, Baibas NM, Kalogeropoulos PG. Cardiovascular risk prediction based on home blood pressure measurement: the Didima study. J Hypertens 2007; 25(8):1590-6.
  15. Fagard RH, Cornelissen VA. Incidence of cardiovascular events in white-coat, masked and sustained hypertension versus true normotension: a meta-analysis. J Hypertens 2007;25(11):2193-8.
  16. Parati G, Stergiou GS, Asmar R, et al. European Society of Hypertension guidelines for blood pressure monitoring at home: a summary report of the Second International Consensus Conference on Home Blood Pressure Monitoring. J Hypertens 2008; 26(8):1505-26.
  17. Stergiou GS, Asayama K, Thijs L, et al. Prognosis of white-coat and masked hypertension: International Database of Home blood pressure in relation to Cardiovascular Outcome. Hypertension. 2014; 63(4): 675-82.
  18. Cappuccio FP, Kerry SM, Forbes L, et al. Blood pressure control by home monitoring: meta- analysis of randomised trials. BMJ 2004;329(7458):145.
  19. Ogedegbe G, Schoenthaler A. A systematic review of the effects of home blood pressure monitoring on medication adherence. J Clin Hypertens 2006; 8(3):174-80.
  20. Vaur L, Dubroca II, DutreyDupagne C, et al. Superiority of home blood pressure measurements over office measurements for testing antihypertensive drugs. Blood Press Monit 1998;3(2):107-14.
  21. Omboni S, Caserini M. Effectiveness of pharmacist’s intervention in the management of cardiovascular diseases. Open Heart. 2018;5(1):e000687. Published 2018 Jan 3. doi:10.1136/openhrt-2017-000687
  22. Hwang AY, Gums TH, Gums JG. The benefits of physician-pharmacist collaboration. J Fam Pract. 2017;66(12):E1-E8.

Autore/i: Giovambattista Desideri

Dipartimento di Medicina Clinica Sanità Pubblica Scienze della Vita e dell’Ambiente, Università degli Studi dell’Aquila

Figura 1
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Autore/i: Giovambattista Desideri

Dipartimento di Medicina Clinica Sanità Pubblica Scienze della Vita e dell’Ambiente, Università degli Studi dell’Aquila

In Italia e nella maggior parte dei Paesi occidentali la durata media della vita all’inizio del Terzo Millennio ha raggiunto valori che fino ai primi anni del ’900 non erano neanche lontanamente immaginabili (1). Questo importante guadagno di “anni alla vita” rappresenta il frutto combinato delle migliori condizioni di vita della popolazione e dei continui progressi in medicina e nell’organizzazione sanitaria che hanno contribuito a ridurre notevolmente i rischi di morte a tutte le età (1). Nel nostro Paese il peso delle malattie cardiovascolari dal 1971 al 2000 è mediamente diminuito in tutte le fasce di età pur rimanendo la principale causa di decesso per entrambi i sessi dopo i 65 anni (2). Il più importante determinante del sostanziale dimezzamento della mortalità totale che si è osservato nel corso degli ultimi 40 anni è stato proprio il declino della mortalità per malattie cardiovascolari stimato nella misura del 63%. Circa il 40% di questa riduzione è da ricondurre a trattamenti specifici, principalmente alle terapie per lo scompenso cardiaco (14%) e per la prevenzione secondaria dopo un infarto del miocardio o una rivascolarizzazione (6%) (3). Non meno rilevante è stato il contributo alla riduzione della mortalità cardiovascolare derivante dall’implementazione del controllo dei fattori di rischio cardiovascolare, in primis l’ipertensione arteriosa che singolarmente spiega circa il 25% della diminuzione dei decessi per cardiopatia coronarica osservata in Italia tra il 1980 ed il 2000 (3). Invero, il controllo di questi fattori di rischio continua ad essere ancora oggi largamente insoddisfacente nella maggioranza dei pazienti (4) nonostante la disponibilità di risorse terapeutiche efficaci e ben tollerate che potrebbero consentire di portare senza troppe difficoltà la pressione ai target raccomandati dalle linee guida (5). Questo aspetto è di non trascurabile rilevanza se si considera che il considerevole guadagno in termini di aspettativa di vita che abbiamo osservato nel corso degli ultimi decenni in ragione della migliore gestione delle problematiche cardiovascolari non ha comportato un concreto miglioramento della sopravvivenza libera da disabilità (1). Tra la popolazione degli ultrasessantacinquenni, infatti, il 40% è affetto da almeno una malattia cronica, il 18% ha limitazioni funzionali nelle attività della vita quotidiana (disabilità), il 68% delle persone con disabilità presenta almeno 3 malattie croniche, l’8% è confinato in casa (1). Una gestione non ottimale dell’ipertensione arteriosa, in termini di precocità e di adeguatezza dell’intervento terapeutico, nel corso degli anni finisce per determinare un progressivo esaurimento della riserva funzionale di organi ed apparati – soprattutto cuore, cervello, rene – che nell’età adulta-avanzata assume di volta in volta diverse connotazioni cliniche, dallo scompenso cardiaco all’insufficienza renale, dagli eventi cerebrovascolari alla demenza. è evidente, quindi, l’opportunità di un controllo ottimale della pressione arteriosa per poter dare “vita agli anni” che i progressi della medicina hanno consentito di guadagnare (1).

L’ipertensione arteriosa, infatti, è attualmente il più importante fattori di rischio cardiovascolare nel mondo (6) con una diretta responsabilità su una larga quota della mortalità e morbilità per patologie cardiache, cerebrali e renali (7). Esiste, infatti, una relazione lineare tra valori pressori e mortalità per infarto miocardico ed ictus (8) e tra la riduzione della pressione e la riduzione degli eventi cardio- e cerebrovascolari (9,10,11). Una recente ed ampia revisione cumulativa della letteratura ad opera di Thomopoulos e coll. (11) ha dimostrato come una maggiore riduzione pressoria sia immancabilmente associata ad una riduzione di tutte le principali complicanze attribuibili all’ipertensione. Una riduzione di 10 mmHg della pressione sistolica e di 5 mmHg della pressione diastolica determina una corrispondente riduzione di oltre il 25% dell’incidenza di cardiopatia ischemica e di oltre il 35% del rischio di complicanze cerebrovascolari (10). Le linee guida 2018 per la gestione dell’ipertensione arteriosa, elaborate congiuntamente dall’European Society fo Hypertension (ESH) e dall’European Society of Cardiology (ESC), hanno tracciato in modo piuttosto semplice i cardini su cui deve poggiare la gestione del paziente iperteso: target pressori unificati per la generalità dei pazienti ipertesi (<140/90 mmHg), uso preferenziale della terapia di combinazione ed implementazione dell’aderenza terapeutica (5). Le linee guida pongono opportunamente l’accento sull’importanza di un uso sempre più ampio della misurazione della pressione arteriosa al di fuori dello studio medico, soprattutto in ambito domiciliare, e sul ruolo strategico del farmacista nell’educazione e nel monitoraggio del paziente iperteso (5).

Invero, la misurazione domiciliare della pressione arteriosa presenta innegabili vantaggi sia dal punto di vista diagnostico che terapeutico. Numerosi studi clinici hanno documentano il valore prognostico della pressione arteriosa domiciliare (12,13,14), dimostrando come essa possa rappresentare un predittore di rischio migliore della pressione arteriosa misurata nell’ambulatorio (pressione “clinica”) (15). Inoltre, la misurazione domiciliare della pressione arteriosa permette il corretto inquadramento dei pazienti con “ipertensione da camice bianco” o “ipertensione clinica isolata” (pressione misurata in ambulatorio aumentata e pressione domiciliare normale) e di quelli con “ipertensione mascherata” (pressione misurata in ambulatorio normale e pressione domiciliare aumentata) (16). A queste diverse categorie di pazienti ipertesi compete un diverso livello di rischio cardiovascolare (12,15) che sembra venire diversamente influenzato dal trattamento (17) (Fig. 1): per la “ipertensione mascherata”, è simile a quello dei pazienti francamente ipertesi indipendentemente dal trattamento, mentre per la “ipertensione da camice” è simile a quello dei soggetti normotesi in corso di trattamento e simile a quello degli ipertesi in assenza di trattamento (17). è evidente, quindi, l’importanza della misurazione domiciliare della pressione arteriosa per una corretta diagnosi di ipertensione arteriosa e per la stratificazione del rischio cardiovascolare del paziente iperteso. La misurazione domiciliare della pressione arteriosa è anche utile nella gestione a lungo termine dei pazienti ipertesi in quanto il suo uso è associato ad un migliore controllo dei valori pressori (18), probabilmente in ragione del miglior coinvolgimento dei pazienti nella gestione della loro condizione, favorendo l’aderenza terapeutica (19). Inoltre, la misurazione della pressione arteriosa in diversi momenti della giornata può consentire di valutare la copertura nell’arco della giornata dei diversi interventi farmacologici (20) o di individuare riduzioni pressorie eccessive, non infrequenti nei ipertesi anziani, diabetici o coronaropatici (16). Questi innegabili vantaggi della misurazione domiciliare della pressione arteriosa presuppongono, ovviamente, l’attendibilità dei valori pressori rilevanti. Le condizioni di misurazione devono essere, quindi, standardizzate utilizzando solo misuratori oscillometrici completamente automatizzati, con manicotto di dimensioni adeguate e da applicare al braccio (non al polso o al dito), validati in base a protocolli internazionalmente riconosciuti (16).

Per ciò che attiene al ruolo del farmacista nell’implementazione del controllo pressorio, senza dubbio questa figura professionale è quella che maggiormente coopera con il medico di medicina generale nella gestione delle patologie croniche, ipertensione in primis. A tale riguardo, la misurazione della pressione arteriosa è stata una delle prime e più efficaci iniziative che le farmacie hanno opportunamente messo in campo in un’ottica di servizio al paziente più che di semplice dispensazione di farmaci. Oggi, grazie alla diffusione capillare sul territorio, anche nei piccoli centri dove spesso rappresentano l’unico presidio sanitario, ed al consolidato rapporto di fiducia che le lega ai pazienti le farmacie stanno assumendo una connotazione non solo limitata alla semplice dispensazione ma orientata verso un supporto clinico al paziente. In molte realtà il supporto ai pazienti con malattie croniche e politerapie è la norma per il farmacista in collaborazione con i medici di medicina generale e senza alcun conflitto di competenze. Robuste evidenze scientifiche dimostrano come la gestione collaborativa tra medico di medicina generale e farmacista si traduca in un implementazione del controllo di patologie croniche ad elevato impatto clinico e socio-sanitario quali l’ipertensione arteriosa (21) (Fig. 2) ed il diabete, con le facilmente immaginabili ricadute favorevoli in termini di costo-efficacia (21,22). I vantaggi del lavoro in tandem medico di medicina generale-farmacista sono senza dubbio molteplici e si concretizzano in una migliore aderenza alle terapie prescritte ed in un più efficace controllo delle patologie croniche in quanto questa cooperazione consente di sviluppare un modello di patient-centered care che soddisfa appieno i bisogni assistenziali del paziente, necessariamente anche educativi, formativi/informativi e di counseling (21).

 

 

Bibliografia

  1. Quaderni del Ministero della Salute. Criteri di appropriatezza clinica, tecnologica e strutturale nell’assistenza all’anziano. n. 6, novembre-dicembre 2010 – ISSN 2038-5293 http:// www.salute.gov.it/portale/documentazione/p6_2_2_1.jsp?lingua=italiano&id=1703
  2. Murray CJ, Lopez AD. Alternative projections of mortality and disability by cause 1990- 2020: Global Burden of Disease Study. Lancet 1997;349:1498-504.
  3. Palmieri L, Bennett K, Giampaoli S, et al. S. Explaining the Decrease in Coronary Heart Disease Mortality in Italy between 1980 and 2000. Am J Public Health 2009;99:1-9
  4. Tocci G, Nati G, Cricelli C, et al. Prevalence and Control of Hypertension in Different Macro-Areas in Italy: Analysis of a Large Database by the General Practice. High Blood Press Cardiovasc Prev. 2016 Dec;23(4):387-393
  5. Williams B, Mancia G, Spiering W, et al. ESC Scientific Document Group. 2018 ESC/ESH Guidelines for the management of arterial hypertension. Eur Heart J. 2018 Sep 1;39(33):3021-3104.
  6. GBD 2013 Risk Factors Collaborators, Forouzanfar MH, Alexander L, Anderson HR, et al. Global, regional, and national comparative risk assessment of 79 behavioural, environmental and occupational, and metabolic risks or clusters of risks in 188 countries, 1990-2013: a systematic analysis for the Global Burden of Disease Study 2013. Lancet. 2015 Dec 5;386(10010):2287-323.
  7. Hozawa A. Attributable fractions of risk factors for cardiovascular diseases. J Epidemiol. 2011;21(2):81-6.
  8. Lewington S, Clarke R, Qizilbash N, et al. Prospective Studies Collaboration. Age-specific relevance of usual blood pressure to vascular mortality: a meta-analysis of individual data for one million adults in 61 prospective studies. Lancet. 2002 Dec 14;360(9349):1903-13.
  9. Law MR, Morris JK, Wald NJ. Use of blood pressure lowering drugs in the prevention of cardiovascular disease: meta-analysis of 147 randomised trials in the context of expectations from prospective epidemiological studies. BMJ 2009;338:b1665 doi:10.1136/bmj.b1665
  10. Zanchetti A, Thomopoulos C, Parati G. Randomized controlled trials of blood pressure lowering in hypertension: a critical reappraisal. Circ Res. 2015 Mar 13;116(6):1058-73.
  11. Thomopoulos C, Parati G, Zanchetti A. Effects of blood pressure lowering on outcome incidence in hypertension: 7. Effects of more vs. less intensive blood pressure lowering and different achieved blood pressure levels – updated overview and meta-analyses of randomized trials. J Hypertens. 2016 Apr;34(4):613-22.
  12. Mancia G, Facchetti R, Bombelli M, et . Long-term risk of mortality associated with selective and combined elevation in office, home, and ambulatory blood pressure. Hypertension 2006;47(5):846-53.
  13. Ohkubo T, Asayama K, Kikuya M, et al. How many times should blood pressure be measured at home for better prediction of stroke risk? Ten year follow-up results from the Ohasama study. J Hypertens 2004; 22(6):1099-104.
  14. Stergiou GS, Baibas NM, Kalogeropoulos PG. Cardiovascular risk prediction based on home blood pressure measurement: the Didima study. J Hypertens 2007; 25(8):1590-6.
  15. Fagard RH, Cornelissen VA. Incidence of cardiovascular events in white-coat, masked and sustained hypertension versus true normotension: a meta-analysis. J Hypertens 2007;25(11):2193-8.
  16. Parati G, Stergiou GS, Asmar R, et al. European Society of Hypertension guidelines for blood pressure monitoring at home: a summary report of the Second International Consensus Conference on Home Blood Pressure Monitoring. J Hypertens 2008; 26(8):1505-26.
  17. Stergiou GS, Asayama K, Thijs L, et al. Prognosis of white-coat and masked hypertension: International Database of Home blood pressure in relation to Cardiovascular Outcome. Hypertension. 2014; 63(4): 675-82.
  18. Cappuccio FP, Kerry SM, Forbes L, et al. Blood pressure control by home monitoring: meta- analysis of randomised trials. BMJ 2004;329(7458):145.
  19. Ogedegbe G, Schoenthaler A. A systematic review of the effects of home blood pressure monitoring on medication adherence. J Clin Hypertens 2006; 8(3):174-80.
  20. Vaur L, Dubroca II, DutreyDupagne C, et al. Superiority of home blood pressure measurements over office measurements for testing antihypertensive drugs. Blood Press Monit 1998;3(2):107-14.
  21. Omboni S, Caserini M. Effectiveness of pharmacist’s intervention in the management of cardiovascular diseases. Open Heart. 2018;5(1):e000687. Published 2018 Jan 3. doi:10.1136/openhrt-2017-000687
  22. Hwang AY, Gums TH, Gums JG. The benefits of physician-pharmacist collaboration. J Fam Pract. 2017;66(12):E1-E8.

Autore/i: Giovambattista Desideri

Dipartimento di Medicina Clinica Sanità Pubblica Scienze della Vita e dell’Ambiente, Università degli Studi dell’Aquila

Figura 1

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