Home>Magazine>PCR 1_2023>Animali domestici e prevenzione cardiovascolare: non solo empatia

Comment to Claudio Borghi

Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università di Bologna

Le malattie cardiovascolari (CV) rappresentano ancora la prima causa di morte nel mondo e la loro prevenzione e trattamento sono necessità urgenti ed ineludibili. La strategia comune prevede un trattamento aggressivo dei principali fattori di rischio CV agendo sulla combinazione tra modifiche dello stile di vita e impiego di soluzioni farmacologiche la cui efficacia è innegabile in termine di incidenza di eventi e mortalità. In particolare, l’impiego di strategie multiple ed integrate e il ricorso ad una utilizzazione crescente di combinazioni fisse di farmaci ha considerevolmente incrementato l’impatto della terapia ed il raggiungimento di efficaci target di intervento in accordo con le raccomandazioni delle linee guida vigenti. Tuttavia, nonostante questa situazione evidentemente favorevole esiste ancora una quota rilevante di rischio CV immodificata (rischio residuo) che persiste anche in presenza di un trattamento efficace richiede strategie di intervento a più ampio spettro probabilmente esplorando potenzialità di intervento preventivo al di fuori di quelle canoniche e modulabili con un approccio tradizionale e codificato. Tra queste, l’ultimo decennio ha visto la crescita progressiva di informazioni circa l’impatto preventivo CV della convivenza con gli animali domestici, in particolare cani, che oltre a svolgere una insostituibile azione di compagnia e di supporto psicologico sembrano in grado di agire nei confronti dei complessi meccanismi fisiopatologici che sottendono allo sviluppo ed alla progressione delle malattie CV. In particolare, la letteratura scientifica moderna è ricca di studi scientificamente solidi che dimostrano coma la vita con animali domestici (pet ownership) si associ ad una riduzione significativa della mortalità per tutte le cause ed i particolare per quella cardiovascolare con una significativa riproducibilità delle evidenze nonostante la natura complessa del disegno dei diversi studi clinici che, par acquisire un risultato, debbono tenere conto della potenziale azione confondente delle caratteristiche della popolazione in studio, delle modalità di confronto tra soggetti, delle misure di stima di efficacia e della eterogeneità dei soggetti che si celano dietro la generica definizione di pets o ani sono state ottenute valutando l’effetto della convivenza con cani ed, in seconda battuta di gatti, essendo i primi certamente gli esseri non umani più empatici e più in grado di interagire fisicamente e psicologicamente con gli umani. Lo spettro di effetti favorevoli si estende dalla mortalità e morbilità al controllo della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca, alla risposta emodinamica allo stress, alla incidenza di aritmie ed alla attivazione dell’neuro-ormonale che implica una stretta interazione tra gli aspetti soggettivamente empatici del rapporto e la conseguenza di attivazione/disattivazione di specifiche aree del sistema nervoso centrale (Figura 1). Proprio questi aspetti sostengono la qualità della ipotesi di lavoro alla base del concetto di prevenzione clinica che deve comunque articolarsi in una risposta misurabile in ambito preventivo sulla base degli elementi di linguaggio propri della medicina organicistica e non semplicemente basati sul generico concetto di benessere e qualità della vita. Nel caso delle evidenze a supporto della azione preventiva CV degli animali domestici è proprio la disponibilità di informazioni ottenute sulla base delle procedure mediche tradizionali che permette di attribuire a questa peculiare strategie di prevenzione il significato di una misura efficace ed integrata con quelle tradizionali e di impiego comune il cui impatto e considerato negli studi sugli animali i quali sembrano tuttavia in grado di offrire un vantaggio additivo al di là delle strategie codificate e come tali in grado di erodere una parte del rischio residuo definito dal mondo clinico. Naturalmente la forte componente empatica che lega l’uomo e l’animale domestico (e che coinvolge psicologicamente anche gli sperimentatori ed i loro eventuali compagni animali), non deve fare dimenticare che nella stima della efficacia preventiva degli animali domestici esistono delle criticità di interpretazione che non possono essere ignorate. In particolare non tutti gli studi sono unanimemente concordi sulla esistenza di un impatto misurabile sulla patologia cardiovascolare significa che comunque, una volta depurato delle ipotesi di prevenzione cardiovascolare, restano comunque attivi i legami di interazione empatica personale e le conseguenti implicazioni in termini di qualità della vita la cui capacità temporale di agire su concetti clinici di benessere potrebbe estendersi oltre il periodo di osservazione degli studi solitamente di 8-10 anni. Inoltre la eterogeneità biologica tra diverse specie animali trova riscontro anche nei risultati degli studi che, in media, attribuiscono gran parte del vantaggio rilevato alla convivenza con i cani mentre dati più limitati e controversi sono stati riportati per i gatti e per qualche altra specie potenzialmente coinvolta (uccelli, pesci, ecc). La differenza potrebbe consistere specie tra le quali solo i cani impongono un esercizio costante nell’arco della giornata permettendo di raggiungere quel target di intervento preventivo (camminare di buon passo per almeno 30 minuti al giorno per almeno 5 giorni) che è uno dei capisaldi della prevenzione terapia non farmacologica delle malattie cardiovascolari. Quello che è certo e che valorizza questo peculiare ambito di ricerca clinica è che la soluzione proposta implica la “somministrazione” di uno strumento preventivo che nella più neutra delle ipotesi assicura comunque un miglioramento della qualità della vita e non comporta effetti indesiderati se non quello di dotarsi di paletta e sacchetto per rispettare gli aspetti civici correlati alla terapia. Quindi, nel caso in cui le condizioni di vita e la logistica lo permettano, non esistono elementi per non considerare di condividere la propria vita con una animale domestico che pare essere la strategia preventiva con il più elevato indice di rapporto tra efficacia e tollerabilità dove alla parola efficacia si legga prevenzione cardiovascolare ed alla parola tollerabilità si legga dedizione e fedeltà.

 

Autore/i: Claudio Borghi

Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università di Bologna

PCR RIVISTA Anno XV – N. 1, 2023-5
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Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università di Bologna

Le malattie cardiovascolari (CV) rappresentano ancora la prima causa di morte nel mondo e la loro prevenzione e trattamento sono necessità urgenti ed ineludibili. La strategia comune prevede un trattamento aggressivo dei principali fattori di rischio CV agendo sulla combinazione tra modifiche dello stile di vita e impiego di soluzioni farmacologiche la cui efficacia è innegabile in termine di incidenza di eventi e mortalità. In particolare, l’impiego di strategie multiple ed integrate e il ricorso ad una utilizzazione crescente di combinazioni fisse di farmaci ha considerevolmente incrementato l’impatto della terapia ed il raggiungimento di efficaci target di intervento in accordo con le raccomandazioni delle linee guida vigenti. Tuttavia, nonostante questa situazione evidentemente favorevole esiste ancora una quota rilevante di rischio CV immodificata (rischio residuo) che persiste anche in presenza di un trattamento efficace richiede strategie di intervento a più ampio spettro probabilmente esplorando potenzialità di intervento preventivo al di fuori di quelle canoniche e modulabili con un approccio tradizionale e codificato. Tra queste, l’ultimo decennio ha visto la crescita progressiva di informazioni circa l’impatto preventivo CV della convivenza con gli animali domestici, in particolare cani, che oltre a svolgere una insostituibile azione di compagnia e di supporto psicologico sembrano in grado di agire nei confronti dei complessi meccanismi fisiopatologici che sottendono allo sviluppo ed alla progressione delle malattie CV. In particolare, la letteratura scientifica moderna è ricca di studi scientificamente solidi che dimostrano coma la vita con animali domestici (pet ownership) si associ ad una riduzione significativa della mortalità per tutte le cause ed i particolare per quella cardiovascolare con una significativa riproducibilità delle evidenze nonostante la natura complessa del disegno dei diversi studi clinici che, par acquisire un risultato, debbono tenere conto della potenziale azione confondente delle caratteristiche della popolazione in studio, delle modalità di confronto tra soggetti, delle misure di stima di efficacia e della eterogeneità dei soggetti che si celano dietro la generica definizione di pets o ani sono state ottenute valutando l’effetto della convivenza con cani ed, in seconda battuta di gatti, essendo i primi certamente gli esseri non umani più empatici e più in grado di interagire fisicamente e psicologicamente con gli umani. Lo spettro di effetti favorevoli si estende dalla mortalità e morbilità al controllo della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca, alla risposta emodinamica allo stress, alla incidenza di aritmie ed alla attivazione dell’neuro-ormonale che implica una stretta interazione tra gli aspetti soggettivamente empatici del rapporto e la conseguenza di attivazione/disattivazione di specifiche aree del sistema nervoso centrale (Figura 1). Proprio questi aspetti sostengono la qualità della ipotesi di lavoro alla base del concetto di prevenzione clinica che deve comunque articolarsi in una risposta misurabile in ambito preventivo sulla base degli elementi di linguaggio propri della medicina organicistica e non semplicemente basati sul generico concetto di benessere e qualità della vita. Nel caso delle evidenze a supporto della azione preventiva CV degli animali domestici è proprio la disponibilità di informazioni ottenute sulla base delle procedure mediche tradizionali che permette di attribuire a questa peculiare strategie di prevenzione il significato di una misura efficace ed integrata con quelle tradizionali e di impiego comune il cui impatto e considerato negli studi sugli animali i quali sembrano tuttavia in grado di offrire un vantaggio additivo al di là delle strategie codificate e come tali in grado di erodere una parte del rischio residuo definito dal mondo clinico. Naturalmente la forte componente empatica che lega l’uomo e l’animale domestico (e che coinvolge psicologicamente anche gli sperimentatori ed i loro eventuali compagni animali), non deve fare dimenticare che nella stima della efficacia preventiva degli animali domestici esistono delle criticità di interpretazione che non possono essere ignorate. In particolare non tutti gli studi sono unanimemente concordi sulla esistenza di un impatto misurabile sulla patologia cardiovascolare significa che comunque, una volta depurato delle ipotesi di prevenzione cardiovascolare, restano comunque attivi i legami di interazione empatica personale e le conseguenti implicazioni in termini di qualità della vita la cui capacità temporale di agire su concetti clinici di benessere potrebbe estendersi oltre il periodo di osservazione degli studi solitamente di 8-10 anni. Inoltre la eterogeneità biologica tra diverse specie animali trova riscontro anche nei risultati degli studi che, in media, attribuiscono gran parte del vantaggio rilevato alla convivenza con i cani mentre dati più limitati e controversi sono stati riportati per i gatti e per qualche altra specie potenzialmente coinvolta (uccelli, pesci, ecc). La differenza potrebbe consistere specie tra le quali solo i cani impongono un esercizio costante nell’arco della giornata permettendo di raggiungere quel target di intervento preventivo (camminare di buon passo per almeno 30 minuti al giorno per almeno 5 giorni) che è uno dei capisaldi della prevenzione terapia non farmacologica delle malattie cardiovascolari. Quello che è certo e che valorizza questo peculiare ambito di ricerca clinica è che la soluzione proposta implica la “somministrazione” di uno strumento preventivo che nella più neutra delle ipotesi assicura comunque un miglioramento della qualità della vita e non comporta effetti indesiderati se non quello di dotarsi di paletta e sacchetto per rispettare gli aspetti civici correlati alla terapia. Quindi, nel caso in cui le condizioni di vita e la logistica lo permettano, non esistono elementi per non considerare di condividere la propria vita con una animale domestico che pare essere la strategia preventiva con il più elevato indice di rapporto tra efficacia e tollerabilità dove alla parola efficacia si legga prevenzione cardiovascolare ed alla parola tollerabilità si legga dedizione e fedeltà.

 

Autore/i: Claudio Borghi

Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università di Bologna

PCR RIVISTA Anno XV – N. 1, 2023-5

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