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Comment to Arrigo Cicero 1, Giorgia Cecchini2, Renata Petroni3, Giovambattista Desideri4

1 Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università degli Studi di Bologna, Ospedale Policlinico Sant’Orsola-Malpighi, Bologna 2 Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata, Verona 3 Casa di Cura “Di Lorenzo”, Avezzano (AQ) 4 Dipartimento di Medicina Clinica, Sanità Pubblica, Scienze della Vita e dell’Ambiente Divisione di Geriatria, Università dell’Aquila

A oltre cento anni dalla sua scoperta l’aspirina è ancora un farmaco di riferimento in prevenzione cardiovascolare. Le linee guida internazionali ne raccomandano l’uso in chi ha già avuto un evento (1). L’assunzione di aspirina a basse dosi, infatti, riduce mediamente di un quinto gli eventi cardiovascolari (infarto miocardico non-fatale, ictus non-fatale e morte per cause vascolari) nei pazienti con pregresso infarto miocardico, ictus o attacco ischemico transitorio. In termini assoluti si tratta di una riduzione dell’incidenza annuale di eventi non fatali pari a circa 10-20 per 1000 pazienti con una riduzione più contenuta, ma comunque significativa, della mortalità per cause vascolari (2,3). In questi pazienti il beneficio netto derivante dall’assunzione di aspirina in termini di protezione cardiovascolare viene solo minimamente inficiato dall’aumento del rischio emorragico, soprattutto rappresentato dai sanguinamenti gastrointestinali, in quanto quest’ultimo è nettamente inferiore, in media dalle 20 alle 50 volte, rispetto alla riduzione degli eventi cardio- e cerebrovascolari (2,3). Una ulteriore conferma del vantaggio protettivo dell’aspirina a basse dosi in prevenzione secondaria deriva dalla dimostrazione di un aumento di circa il 40% del rischio relativo di sviluppare un infarto miocardico o un ictus ischemico in caso di discontinuazione dell’assunzione di aspirina (4). Quando si tratta di impostare una strategia di prevenzione delle recidive cardiovascolari l’uso dell’aspirina è, quindi, fuori discussione.

In prevenzione primaria l’uso di aspirina a basse dosi (75-100 mg) è raccomandato dalle linee guida della European Society fo Cardiology (ESC) (1,5) (classe IIb, livello A) in pazienti diabetici di tipo 1 o 2 che abbiano i seguenti criteri: evidenza di almeno un danno di organo (rene o retina), oppure tre o più fattori di rischio tradizionali, indipendentemente dalla durata di malattia, oppure durata di malattia ≥10 anni senza danno di organo ed almeno un fattore di rischio tradizionale, oppure diabete di tipo 1 da >20 anni. Questa raccomandazione poggia sui risultati dello studio ASCEND (A Study of Cardiovascular Events in Diabetes), il più grande trial controllato con placebo di efficacia e sicurezza di aspirina in prevenzione primaria, condotto in 15.480 pazienti con diabete di tipo 1 e 2, di età ≥40 anni e senza pregressa trombosi arteriosa, con follow-up >7 anni (6). In questi pazienti aspirina ha ridotto significativamente l’incidenza di infarto, ictus ischemico, attacco ischemico transitorio o morte cardiovascolare (9.6% braccio placebo, 8.5% aspirina, p<0.01) e le procedure di rivascolarizzazione (periferica o coronarica). Una recente meta-analisi, che ha incluso anche dati tabulari di ASCEND, ha confermato cha la riduzione assoluta del rischio cardiovascolare associata ad aspirina nei pazienti diabetici è superiore al rischio emorragico assoluto (7). L’uso di aspirina in prevenzione primaria è anche raccomandato nei pazienti diabetici asintomatici che, tuttavia, presentino o una chiara evidenza strumentale o marcatori di patologia aterosclerotica coronarica, carotidea o agli arti inferiori, indipendentemente da età, durata di malattia e altri fattori di rischio. In particolare, l’evidenza mediante imaging (ecografia o risonanza magnetica) di stenosi significative carotidee, femorali, coronariche, o un punteggio di calcio coronarico elevato o un indice caviglia-braccio ridotto (<0.9) vengono considerati “modificatori del livello di rischio” che aumentano il livello di rischio cardiovascolare e rendono il paziente eleggibile alla prevenzione primaria (8). Questo non solo nella popolazione diabetica, ma anche in quella non diabetica (8). In ogni caso deve essere valutato il rischio emorragico che tende a crescere con il rischio ischemico con il quale condivide i determinanti più importanti (9). I modelli di analisi proposti finora circa il rapporto rischio/beneficio attribuiscono la stessa importanza agli eventi ischemici (ictus e infarto) e a quelli emorragici. Tuttavia, gli eventi emorragici prevalentemente a livello gastrointestinale sono spesso di modesta entità o, anche se di maggiore entità, sono gestibili nella generalità dei casi e prevenibili con farmaci gastroprotettori il cui uso è incoraggiato dalle linee guida per ottimizzare il rapporto rischio/beneficio della terapia antitrombotica (8,10,11,12). Inoltre, l’ictus emorragico rappresenta meno del 20% dei sanguinamenti maggiori. Pertanto, il rischio emorragico prevalentemente gastrointestinale è prevenibile e gestibile mentre un infarto o un ictus, spesso disabilitanti, hanno sicuramente un impatto ed una valenza maggiore nella qualità di vita di un paziente (11,13). Coerentemente, l’American Diabetes Association (ADA) sottolinea l’importanza di discutere con il paziente l’impatto di avere un ictus o un infarto miocardico rispetto ad un evento emorragico gastrointestinale che nella generalità dei casi è prevenibile e comunque meno disabilitante nel lungo termine (11). Appare, inoltre, condivisibile la posizione della U.S. Preventive Service Task Force di condividere con il paziente la decisione terapeutica (14). In questo contesto la riduzione dell’incidenza e della mortalità per cancro, soprattutto del colon-retto, che il trattamento protratto con aspirina a basse dose parrebbe poter offrire, potrebbe essere di grande rilevanza per estendere l’indicazione del trattamento con aspirina in più ampie fasce di pazienti in prevenzione primaria (10,14).

La tipologia di pazienti per i quali è ipotizzabile l’uso di aspirina a basse dosi per la prevenzione degli eventi cardiovascolari è sostanzialmente sovrapponibile a quella dei pazienti per i quali è ipotizzatibile un trattamento ipocolesterolemizzante con statine (1,15). Le linee guida per la gestione delle displidemia, infatti, raccomandano target di colesterolo LDL estremamente ambiziosi in quei pazienti che, in ragione di un elevato livello di rischio cardiovascolare, hanno una precisa indicazione all’assunzione di aspirina a basse dosi. Nei pazienti a rischio molto alto l’obiettivo è una riduzione del colesterolo LDL ≥ del 50% rispetto al basale e un valore < 55 mg/dL, in quelli a rischio alto ci si prefigge una riduzione del colesterolo LDL ≥ del 50% rispetto al basale e un valore < 70 mg/dL, e, infine, nei pazienti con malattie cardiovascolari aterosclerotiche che manifestano un secondo evento vascolare entro 2 anni (non necessariamente dello stesso tipo) durante l’assunzione di statine al massimo dosaggio tollerato, potrebbe essere considerato un obiettivo di colesterolo LDL <40 mg/dL (15). Dal punto di vista del trattamento farmacologico le statine rappresentano il farmaco di prima scelta. Il grado di riduzione del colesterolo LDL è dose-dipendente e varia in base al tipo di statina utilizzata. Esistono, infatti, statine ad alta, moderata e bassa intensità. Quelle ad alta intensità riducono il colesterolo LDL, in media, di almeno il 50% mentre quelle a moderata intensità lo riducono del 30-50% (15). La necessità di ridurre la colesterolemia LDL di almeno il 50% nei pazienti a rischio cardiovascolare elevato o molto elevato – per i quali può essere considerato anche l’uso di aspirina a basse dosi – restringe la scelta alle 2 statine ad alta intensità attualmente disponibili, rosuvastatina ed atorvastatina (15).

Il razionale di una terapia di combinazione con aspirina a basse dosi + statina ad alta intensità, a dosaggio differenziato in relazione al target di colesterolo LDL da raggiungere, poggia evidentemente sulla opportunità di semplificare il trattamento dei pazienti ad elevato rischio cardiovascolare che, in quanto tali, necessitano spesso di schemi terapeutici variamenti articolati (1). Questo aspetto è di non trascurabile rilevanza in quanto in quanto la scarsa aderenza alle diverse strategie di prevenzione cardiovascolare si viene sempre più configurando come un vero e proprio fattore di rischio occulto (16). Le misure preventive, infatti, dispiegano i loro effetti favorevoli in un arco di tempo decisamente più lungo rispetto alle terapie di fase acuta e richiedono, quindi, che il paziente riceva la terapia in modo continuativo e nelle dosi dimostratesi efficaci. La mancanza di aderenza diventa così un fattore di rischio significativo ma spesso nascosto. In effetti, se un paziente non assume il farmaco prescritto, non potrà ottenerne alcun beneficio. I dati dell’osservatorio sull’uso dei farmaci dimostrano come meno del 50% dei pazienti assumano con sufficiente regolarità i farmaci ipocolesterolemizzanti ed antipertensivi (17).

La complessità dello schema terapeutico rappresenta probabilmente uno dei più importanti determinati della scarsa aderenza terapeutica, ragione per cui una crescente attenzione viene posta dalle linee guida internazionali all’uso di combinazioni di farmaci della stessa classe o di classi diverse in associazioni precostituite in modo da favorire l’aderenza terapeutica (18). Peraltro, la personalizzazione del trattamento utilizzando la combinazione aspirina+statina ad alta intensità è decisamente agevole in quanto la dose di aspirina è standard mentre quella di statina può essere definita a priori nella generalità dei pazienti (19).

La possibilità di una sinergia protettiva tra aspirina e statina rappresenta un altro elemento di valutazione a favore di questa combinazione farmacologica. La presenza di ipercolesterolemia, infatti, sembra poter condizionare una riduzione della risposta delle piastrine all’effetto antiaggregante di aspirina (20). La riduzione della colesterolemia garantita dalla presenza di una statina potrebbe, quindi, rendere le piastrine maggiormente responsive all’aspirina (20). L’effetto antinfiammatorio della terapia con statine potrebbe rappresentare un ulteriore fattore di potenziamento dell’efficacia antiaggregante di aspirina (20). Le statine, infatti, svolgono una certa azione antiaggregante inquadrabile nell’ambito delle molteplici proprietà farmacologiche, dipendenti e/o indipendenti dalla riduzione del colesterolo LDL (21,22). Numerosi sono i meccanismi fisiopatologici di volta in volta suggeriti per spiegare la riduzione della trombogenicità ematica durante trattamento con statine: le variazioni dei livelli serici di colesterolo LDL e del contenuto cellulare piastrinico di colesterolo; l’induzione della sintetasi dell’ossido nitrico piastrinica; l’inibizione della sintesi di tromboxano A2; l’inibizione dell’espressione del CD40L piastrinico e della liberazione di trombina mediata da CD40L; il legame del farmaco alle piastrine (21,22,23). Evidenze indirette di una possibile interazione favorevole della combinazione aspirina+statina sono state recentemente prodotte dall’International Polycap Study 3 (TIPS-3), i cui risultati sono stati presentati all’American Heart Association 2020 Scientific Sessions virtuali e pubblicati contemporaneamente sul New England Journal of Medicine (24). Nel periodo di follow-up di quasi cinque anni, l’aggiunta di aspirina al trattamento con una polipillola quotidiana contenente simvastatina 40 mg, atenololo 100 mg, ramipril 10 mg e idroclorotiazide 25 mg ha determinato ha determinato una riduzione addizionale degli eventi cardiovascolari del 31% mentre il trattamento con la sola aspirina ha ridotto la morte cardiovascolare, l’infarto o l’ictus del 14% in pazienti ad elevato rischio cardiovascolare in prevenzione primaria (24).

Conclusione

Le malattie cardiovascolari continuano a rappresentare nel nostro Paese la principale causa di mortalità e morbilità. La prevenzione efficace di queste patologie poggia sulla combinazione di farmaci che agiscono sui meccanismi fisiopatologici sottesi allo sviluppo e alla progressione della patologia aterosclerotica ed alla comparsa delle sue complicanze trombotiche. Statina e aspirina rappresentano due pilastri fondamentali di ogni strategia di prevenzione nei pazienti a rischio cardiovascolare elevato o molto elevato. La combinazione aspirina + statina ad alta intensità potrebbe rappresentare un esempio di modernità gestionale del rischio cardiovascolare in cui il concetto di semplificazione terapeutica si coniuga perfettamente con una sinergia di efficacia protettiva, garantendo quella resa terapeutica ottimale che deve essere l’obiettivo finale di ogni strategia di intervento.

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