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Comment to Lorenzo Ghiadoni1, Giorgia Cecchini2, Giovambattista Desideri3

1 Dipartimento di Area Medica, Università degli Studi di Pisa 2 Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata, Verona 3 Dipartimento di Medicina Clinica, Sanità Pubblica, Scienze della Vita e dell’Ambiente

Nel corso degli ultimi decenni il nostro Paese è andato incontro ad un profondo cambiamento della sua struttura demografica a causa del progressivo invecchiamento della popolazione. In Italia, così come nella maggior parte dei Paesi sviluppati, la durata media della vita all’inizio del Terzo Millennio ha raggiunto valori che fino ai primi anni del ’900 erano inimmaginabili. Parallelamente a questa transizione demografica si è verificato un cambiamento nosografico caratterizzato dalla diminuzione delle patologie infettive e carenziali e dalla concomitante espansione delle patologie cronico-degenerative che oggi nel mondo occidentale rappresentano la principale causa di mortalità, morbilità e disabilità. Il parallelismo tra cambiamento demografico e cambiamento nosografico ha portato ad ipotizzare che il primo potesse essere una determinante fondamentale del secondo. Gran parte delle patologie più frequenti nell’intera popolazione, in realtà, hanno una prevalenza e un’incidenza crescente in rapporto all’età. Tuttavia, se da un lato è indiscutibile che l’invecchiamento della popolazione abbia costituito il fattore indispensabile per la migliore evidenziazione di queste malattie, dall’altro è fin troppo evidenze che la loro diffusione epidemica sia da ricondurre in modo largamente preponderante alla cronica esposizione nel corso della vita a tutti quei fattori comportamentali ed ambientali che migliaia di pubblicazioni hanno inequivocabilmente identificato come i principali determinanti del nostro stato di salute. L’attuale disponibilità di trattamenti efficaci e ben tollerati per la gestione della larga maggioranza delle patologie cronico-degenerative è certamente uno dei principali determinanti dei guadagni in termini di sopravvivenza ottenuti negli ultimi decenni e del miglioramento dello stato di salute nella nostra popolazione.

Questi risultati, non poco incoraggianti, sarebbero certamente suscettibili di miglioramento semplicemente implementando l’uso delle risorse terapeutiche attualmente disponibili. A questo riguardo, l’effettiva aderenza dei pazienti alle terapie prescritte ha ricevuto negli anni un’attenzione decisamente inferiore da parte della comunità scientifica rispetto alla definizione delle strategie terapeutiche di volta in volta più opportune, ma è indubbio che questa tematica oggi rappresenti un’area di intervento di importanza strategica perché – lapalissianamente parlando – nessun farmaco può funzionare se non viene assunto regolarmente. Aumentare l’efficacia di adesione alla terapia – si leggeva già nella relazione del 2003 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità – potrebbe avere un impatto molto maggiore sulla salute della popolazione di qualsiasi miglioramento medico specifico (1).

Aderenza terapeutica

Il termine aderenza alla terapia definisce il conformarsi del paziente alle raccomandazioni del medico riguardo ai tempi, alle dosi e alla frequenza nell’assunzione del farmaco per l’intero ciclo di terapia (2,3). La parola aderenza deriva, infatti, dal latino ad haerere (stare attaccato, appoggiarsi), ed indica quindi un’attività che prevede la partecipazione del soggetto perché si aderisce a qualcosa se ci si crede o se si ritiene utile. Il termine aderenza ha progressivamente sostituito quello di compliance, molto usato fino alla fine degli anni ’90, che definisce invece il grado in cui il comportamento di una persona (assunzione di farmaci, osservanza di diete, cambiamenti nello stile di vita) coincide con le raccomandazioni del medico (4). L’aderenza alle terapie è, quindi, un patto che viene stabilito tra il paziente, il familiare o il caregiver – se si tratta di pazienti anziani, cronici, con polipatologie – e un operatore sanitario e dipende da diversi fattori che riguardano la malattia in sé, il numero di farmaci, la complessità degli schemi terapeutici che vengono prescritti, le caratteristiche socio-demografiche del paziente e del contesto in cui vive o anche la presenza di qualcuno che si faccia carico della gestione delle terapie, laddove il paziente anziano abbia delle difficoltà nel gestire così tanti farmaci. Gli anziani fragili, spesso polipatologici e politrattati, sono particolarmente a rischio di non essere aderenti alle loro terapie farmacologiche. Un recente studio dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, condotto a partire dal database amministrativo della Regione Lombardia, in una popolazione di soggetti di età compresa tra i 65 e i 95 anni che vivevano in comunità, ha dimostrato che meno del 20% dei soggetti è risultato completamente aderente a terapie di comune utilizzo quali ipoglicemizzanti, antitrombotici, farmaci per il sistema renina-angiotensina, farmaci agenti sui lipidi, farmaci per il trattamento delle malattie delle ossa, antidepressivi e farmaci per la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) mentre circa il 40% era scarsamente aderente ad almeno una di esse (5). La classe di farmaci che ha registrato un maggior livello di aderenza era rappresentata dagli antipertensivi, mentre la classe di farmaci in cui si è osservata una più scarsa aderenza è stata quella dei farmaci per la BPCO (5,6). Come era facile attendersi, l’età geriatrica e le politerapia sono risultate associate ad un minore aderenza. In linea con queste evidenze, i dati del Rapporto sull’Uso dei Farmaci in Italia del 2020 dimostrano chiaramente come l’aderenza ai trattamenti delle patologie croniche, quali l’ipertensione arteriosa e l’ipercolesterolemia, tenda a decrescere con l’età (7). La rilevanza clinica della non adeguata aderenza alla terapia croniche è tale da aver indotto alla formulazione, da parte di Italia Longeva, l’Associazione nazionale per l’invecchiamento e la longevità attiva del Ministero della Salute, di una proposta di prevedere un “indicatore sintetico di aderenza” integrato nel Nuovo Sistema di Garanzia dei Livelli Essenziali di Assistenza, per misurare l’aderenza terapeutica nelle malattie croniche in maniera standardizzata a livello nazionale e dare una risposta concreta al problema della scarsa aderenza alle cure, particolarmente rilevante tra gli anziani e fortemente acuito dalla pandemia (8). Con oltre 8 milioni di over-65 affetti da almeno una malattia cronica, 5 milioni e mezzo che ne hanno almeno tre (9) e circa 2 milioni di anziani che assumono 10 o più farmaci al giorno, l’aderenza alle cure rappresenta un fattore chiave per garantire una vecchiaia attiva e il più possibile in salute – le malattie croniche sono responsabili dell’80% degli anni con disabilità (10) e di oltre il 70% delle morti a livello mondiale (11) – e, al contempo, la tenuta del SSN. Prendendo in considerazione alcune tra le più diffuse malattie cardiovascolari, livelli di aderenza almeno pari all’80% consentirebbero di ottenere un risparmio totale annuo di 522 milioni di euro per le dislipidemie e di 898 milioni di euro per l’ipertensione.

Tra le diverse azioni implementate per migliorare l’aderenza, quelle che si sono rivelate maggiormente costo-efficaci e, dunque, in grado di incidere in maniera significativa sulla riduzione dei costi sanitari, sono rappresentate dagli interventi educativi rivolti ai pazienti e al personale sanitario, l’utilizzo di farmaci in associazione fissa o di poli-pillole, che consentono di semplificare la terapia, il coinvolgimento delle farmacie e del personale sanitario, la riduzione della spesa out-of-pocket e il monitoraggio dell’aderenza tramite interventi ad hoc.

La polipillola è una soluzione?

Il drastico miglioramento della qualità dell’assistenza sanitaria a cui abbiamo assistito negli ultimi decenni ha comportato un aumento dell’età media della popolazione, seguito dall’incremento del numero di pazienti affetti da patologie croniche (12) e da quadri polipatologici (13), quadri che necessitano spesso di schemi terapeutici includenti più farmaci da assumersi cronicamente, farmaci non scevri da effetti collaterali ed in molti casi da interazioni. In quest’ottica è fondamentale la buona aderenza del paziente alle terapie; il ruolo del medico nel momento prescrittivo diventa quindi più ampio, dovendo considerare non solo la miglior terapia in termini clinici, ma anche quanto questa possa essere accettata da parte del paziente. Il 75% degli ultrasessantacinquenni assume 4 o più farmaci al giorno ed il 20% nel assume 10 o più farmaci (14).

Allo scopo di ridurre la complessità del regime farmacologico, soprattutto nella prevenzione delle malattie cardiovascolari, una valida strategia è costituita dal ricorso alle combinazioni di farmaci in pillola singola (o polipillola). Uno studio recentemente condotto nella popolazione geriatrica ha dimostrato come l’aderenza terapeutica si riduca progressivamente all’aumentare del numero di compresse assunte giornalmente mentre aumenti progressivamente al crescere del numero di principi attivi presenti nella stessa compressa (15). L’approccio terapeutico con la polipillola è attualmente agevolato dalla disponibilità di differenti associazioni precostituite di farmaci antipertensivi a diversi dosaggi. Peraltro, una ulteriore semplificazione della strategia terapeutica di volta in volta più opportuna nel paziente iperteso potrebbe essere garantita dalla disponibilità combinazioni fisse di alcuni antipertensivi con una statina e una bassa dose di acido acetilsalicilico, con il razionale che il paziente iperteso spesso presenta anche dislipidemia e frequentemente ha un elevato rischio cardiovascolare (16). Ciò consente anche di sfruttare appieno le sinergie tra i diversi trattamenti di corrente utilizzo in prevenzione cardiovascolare come dimostrato, ad esempio, dalla superiore efficacia protettiva della combinazione perindopril/amlopidina nei pazienti ad alto rischio cardiovascolare dello studio Anglo-Scandinavian Cardiac Outcomes Trial-Blood Pressure Lowering Arm (ASCOT-LLA) che concomitantemente assumevano anche atorvastatina (17). Il ricorso alla polipillola, indicato una volta che sia stata stabilita la necessità d’impiego di ciascuno dei suoi componenti, non deve essere considerato solo in casi isolati ma come parte integrante della strategia per la prevenzione degli eventi cardiovascolari (18). Innegabilmente il ricorso alla polipillola semplifica lo schema terapeutico consentendo, quindi, di superare alcune rilevanti problematiche connesse al politrattamento, soprattutto negli anziani, che spaziano dagli errori alle dimenticanze dell’assunzione, dall’autogestione della terapia alle interazioni farmacologiche (19,20), a tutto vantaggio della prevenzione cardiovascolare. Peraltro, numerosi studi hanno dimostrato che i pazienti considerano la polipillola estremamente conveniente e preferiscono assumere un singolo trattamento piuttosto che tanti trattamenti distinti (21). La polipillola, inoltre, fornisce al medico un efficace strumento per mettere in atto in modo semplice le indicazioni sempre più stringenti delle linee guida sulla prevenzione cardiovascolare (16).

La recente dimostrazione dell’efficacia della polipillola non solo nel ridurre i diversi parametri di rischio cardiovascolare, bersaglio dei diversi principi attivi inclusi nella polipillola, ma anche gli outcome cardiovascolari consegna al clinico un prezioso strumento terapeutico per la gestione ottimale del rischio cardiovascolare (22,23). L’impatto di questa strategia sull’aderenza al trattamento è stata valutata negli studi UMPIRE (Use of a Multidrug Pill in Reducing Cardiovascular Events), IMPACT (Improving Adherence Using Combination Therapy), Kanyini GAP (Guidelines Adherence with the Polypill) e FOCUS (Fixed Dose Combination Drug for Secondary Cardiovascular Prevention), che hanno dimostrato come la polipillola aumenti significativamente l’aderenza al trattamento rispetto alla somministrazione dei singoli farmaci separatamente o rispetto alla terapia standard (24,25). È ragionevole pensare che la polipillola possa rappresentare una risorsa efficace nella prevenzione cardiovascolare non solo nei paesi a basso reddito o con sistemi sanitari poco sviluppati, ma anche nei paesi industrializzati in cui la prevenzione cardiovascolare ha un alto impatto economico. Devono, ovviamente, essere superate alcune problematiche farmacologico-regolatorie, ad esempio avere la disponibilità di formulazioni di polipillola con dosaggi diversi dei vari componenti in modo da renderla adattabile su base individuale e in grado, quindi, di sostituire le combinazioni estemporanee potendo sempre garantire dosaggi dei singoli principi attivi che siano adeguati alle necessità del singolo paziente.

Conclusione

La non-aderenza alla terapia è un problema tante volte sottovalutato e scarsamente preso in considerazione nella pratica clinica. I pazienti più esposti al rischio della non-aderenza sono i soggetti con patologie croniche, quindi la grande maggioranza dei pazienti anziani, a rischio di eventi potenzialmente evitabili dovuti all’assunzione errata della terapia che si traduce in ricadute cliniche più o meno gravi per la salute del singolo individuo e in costi aggiuntivi per il servizio sanitario.

È opportuno che il medico comunichi col paziente al fine di capire se vi è una non-aderenza intenzionale, che spesso può essere evitata rendendo il paziente adeguatamente partecipe dei ragionamenti che hanno portato alla decisione di consigliare una determinata terapia, con i vantaggi e gli svantaggi che questa può avere, senza che venga percepita come un’imposizione (Figura 1).

Il medico ha il compito di guidare il paziente, ascoltandone le necessità e adeguando il più possibile la terapia a queste. Nel paziente anziano è di massima importanza la rivalutazione periodica dei diversi trattamenti, dell’aderenza alla terapia e dei fattori modificanti. Questa rivalutazione dovrebbe sempre includere l’eventuale progressione o insorgenza de novo della demenza e la presenza di variazioni dell’ambiente in cui vive il paziente.

Bibliografia

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  6. Franchi C, Ardoino I, Ludergnani M, et al. Medication adherence in community-dwelling older people exposed to chronic polypharmacy. J Epidemiol Community Health 2021: jech-2020-214238.
  7. Rapporto Nazionale OsMed 2020 sull’uso dei farmaci in Italia. https://www.aifa.gov.it/-/rapporto-nazionale-osmed-2020-sull-uso-dei-farmaci-in-italia
  8. D’Angelo D, Onder G, Orso M eet al. L’aderenza nella governance della long-term care: proposta di indicatore sintetico. https://www.italialongeva.it/wp-content/uploads/ 2020/11/Paper-aderenza-2020-def.pdf
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