Le malattie cardiovascolari rappresentano ancora oggi la principale causa di mortalità e morbidità a livello globale. Sebbene nelle ultime decadi il burden delle patologie cardiovascolari si sia ridotto nei paesi a reddito più alto grazie alla disponibilità di terapie di provata efficacia (anche se l’aumento dell’obesità, la sedentarietà e gli stili di vita non corretti minacciano questo trend positivo), in quelli a reddito medio-basso si osserva un trend opposto e si stima che nel 2020 l’80% delle morti globali per malattie cardiovascolari avverrà in questi paesi (1,2).
Invero, le strategie di prevenzione cardiovascolare si sono fortemente sviluppate negli ultimi decenni soprattutto in relazione alle molteplici e convincenti dimostrazioni di efficacia dell’approccio farmacologico in aggiunta alle tradizionali modifiche dello stile di vita. Queste evidenze sono soprattutto riferite ad interventi con farmaci antipertensivi, ipocolesterolemizzanti, antidiabete ed antiaggreganti, non di rado prescritti concomitantemente nelle stesso paziente in varie combinazioni in relazione al diverso profilo di rischio di volta in volta prevalente. L’estremizzazione concettuale di questo approccio polifarmacologico ha portato un paio di decenni orsono alla teorizzazione da parte di Richard Peto e dei suoi collaboratori, in occasione di un meeting organizzato dalla Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2001 con l’obiettivo di migliorare la prevenzione cardiovascolare nei paesi economicamente più svantaggiati, dell’utilizzo di una combinazione a dose fissa di aspirina, statina, ACE-inibitore e beta-bloccante per la prevenzione secondaria degli eventi cardiovascolari (3). Un paio di anni dopo Wald e Law espansero ulteriormente il concetto di polipillola quale strumento di prevenzione cardiovascolare ipotizzando di usare una combinazione di farmaci e vitamine riuniti in una sola pillola da assumere giornalmente (4).
La finalità di questa polipillola era quella di intervenire simultaneamente su quattro potenziali determinanti degli eventi cardiovascolari – l’ipertensione, il colesterolo LDL, l’omocisteina e l’aggregazione piastrinica – indipendentemente dal livello pretrattamento di questi fattori. La formulazione che più di ogni altra sembrava poter garantire gli obiettivi di protezione (eventi coronarici ed ictus, anni di vita guadagnati) prevedeva una statina, tre farmaci antipertensivi alla dose standard, acido folico ed aspirina a basse dosi. I due ricercatori stimarono una riduzione degli eventi coronarici dell’88% e dello stroke dell’80% (Figura 1).
L’assunzione della polipillola a partire dall’età di 55 anni avrebbe consentito di guadagnare 11 anni di vita libera da eventi coronarici o ictus in circa un terzo degli individui trattati. Gli effetti indesiderati sarebbero invece occorsi in una percentuale stimata tra l’8% ed il 15% in relazione alla specifica formulazione considerata. L’approccio di Wald e Law si basava da un lato sulla sinergia tra le diverse classe di farmaci cardioprotettivi e dall’altro sulla elevata prevalenza dei fattori di rischio cardiovascolare nella popolazione generale, tale da giustificarne un trattamento a priori, ossia a prescindere dalla precisa misurazione dell’intensità dei diversi fattori di rischio considerati.
Le sinergie terapeutiche rappresentano senza dubbio uno strumento prezioso per il clinico in quanto consentono di raggiungere target terapeutici ambiziosi utilizzando combinazioni razionali di farmaci. In ambito ipertensiologico, ad esempio, il beneficio incrementale in termini di riduzione pressoria che si ottiene aggiungendo un secondo farmaco antipertensivo di una classe diversa è 5 volte superiore rispetto a quello che si ottiene raddoppiando la dose del singolo antipertensivo (5).
A questo riguardo appaiono di non trascurabile rilevanza i risultati di uno studio australiano recentemente pubblicato che prevedeva l’uso di una singola capsula contenente 4 farmaci antipertensivi, ognuno ad un quarto della dose raccomandata (irbesartan 37.5 mg, amlodipina 1.25 mg, idroclorotiazide 6.25 mg e atenololo 12.5 mg), somministrata per 4 settimane a 18 pazienti ipertesi mai trattati in precedenza (6). Al termine del periodo di studio è stata ottenuta una normalizzazione della pressione nel 100% dei pazienti che avevano completato lo studio con una riduzione della pressione sistolica delle 24 ore di 19 mmHg e della pressione ambulatoriale di 22 mmHg per la pressione sistolica e di 13 mmHg per la pressione diastolica. Il trattamento, come facilmente intuibile in ragione dei bassi dosaggi utilizzati, è risultato assai ben tollerato. È evidente che un trattamento che consenta il rapido raggiungimento ed il mantenimento nel tempo del target pressorio, che non necessiti di ripetute titolazioni delle dosi e con una tollerabilità simile al placebo, ha tutte le potenzialità per consentire l’ottimizzazione del controllo pressorio nella larga maggioranza dei pazienti ipertesi (7). Una ulteriore dimostrazione di efficacia della terapia antipertensiva di combinazione deriva dalla studio PIANIST, che ha reclutato pazienti a rischio cardiovascolare elevato o molto elevato con ipertensione non adeguatamente controllata. Dopo 4 mesi di trattamento con la triplice terapia di combinazione perindopril/indapamide/amlodipina è stata osservata una significativa riduzione della pressione arteriosa, indipendentemente dal grado di ipertensione e dal tipo di trattamento precedentemente seguito (8). Queste evidenze di efficacia giustificano appieno l’uso della terapia di combinazione – preferenzialmente in associazione precostituita – nella gestione dell’ipertensione nella generalità dei pazienti, anche come primo approccio terapeutico (9). Analogamente, in ambito lipidologico è ben nota la regola del 6% che prevede che per ogni raddoppio di dose di una statina si ottenga una riduzione incrementale della colesterolemia del 6% mentre l’aggiunta di un farmaco con un meccanismo di azione complementare, quale ezetimibe, determina un incremento della riduzione della colesterolemia del 15-20% (10).
La sinergia tra farmaci cardioprotettivi non riguarda soltanto l’implementazione del controllo di un determinato fattore di rischio ma ha anche importanti ricadute favorevoli in termini di protezione cardiovascolare addizionale. È ben noto, ad esempio, come i benefici derivanti dal trattamento con statine si sommino a quelli derivanti da altre strategie di prevenzione con un favorevole effetto di potenziamento reciproco dell’efficacia protettiva.
Una robusta evidenza di questa favorevole interazione protettiva deriva dallo studio Anglo-Scandinavian Cardiac Outcomes Trial-Lipid Lowering Arm (ASCOT-LLA), condotto in pazienti ad elevato rischio cardiovascolare trattati con la combinazione amlodipina/perindopril o atenololo/diuretico (11). La combinazione perindopril/amlodipina è risultata associata rispetto alla combinazione atenololo/diuretico ad un migliore controllo della pressione arteriosa (-2.9/-2.0 mmHg), ad una più ampia riduzione dei trigliceridi ed un più consistente aumento del colesterolo HDL e concomitantemente ad una ridotta frequenza degli eventi cardiovascolari totali e delle procedure (9.1% vs 9.8%) e di stroke (2.0% vs 2.7%).
Il concomitante trattamento con atorvastatina ha ulteriormente migliorato l’outcome primario con una riduzione del 53% in corso di trattamento con la combinazione perindopril/amlodipina rispetto alla riduzione del 16% osservata con la combinazione atenololo/tiazidico. Queste evidenze trovano un robusto supporto fisiopatologico nell’evidenza che le LDL ossidate rappresentano un potente stimolo alla regolazione del recettore AT1 dell’angiotensina II esaltando, quindi, le potenzialità ipertensivanti e aterogene di angiotensina II (12).
La ricaduta pratica di questa interazione favorevole tra trattamento ipolipemizzante ed antipertensivo è evidente se si considera che l’ipercolesterolemia rappresenta il più importante amplificatore di rischio nel paziente iperteso in ragione dello spiccato sinergismo tra questi fattori di rischio nel determinare eventi cardio e cerebrovascolari (9). È interessante notare, peraltro, come molti eventi cardiovascolari e decessi attribuibili all’ipertensione e alla dislipidemia si verifichino per livelli pressori e colesterolemici sostanzialmente normali o solo moderatamente aumentati. Il controllo dell’ipercolesterolemia rappresenta certamente uno degli elementi chiave nella gestione globale del paziente iperteso (9). Quanto sopra esposto rende ragione della validità del concetto di polipillola proposto da Wald e Law (4). Statine, farmaci che interferiscono con il sistema renina angiotensina e, ove indicata, aspirina a basse dosi costituiscono, invero, l’attuale “terapia di fondo” nel paziente ad elevato rischio cardiovascolare (11).
Invero, l’articolo d Wald e Law destò non poco interesse nel mondo scientifico, anche in ragione del prestigio della rivista in cui era stato pubblicato, ma negli anni successivi l’attenzione dei riguardi dell’uso della polipillola in prevenzione cardiovascolare è rimasta piuttosto modesta nonostante alcune pubblicazioni di livello nel corso del tempo abbiamo periodicamente riproposto questa interessante tematica (13). Tra queste merita menzione un trial randomizzato controllato con placebo, coordinato dal Programme to Improve Life and Longevity (PILL) Collaborative Group, che prevedeva la somministrazione di una polipillola contente aspirina 75 mg, lisinopril 10 mg, idroclorotiazide 12.5 mg e simvastatina 20 mg in 378 individui arruolati in 7 Paesi (Australia, Brasile, India, Olanda, Nuova Zelanda, UK, USA), senza alcuna indicazione specifica all’assunzione dei diversi componenti della polipillola ma con un rischio cardiovascolare a 5 anni > 7.5% (14).
Dopo 12 settimane di trattamento è stata osservata una riduzione della pressione sistolica di circa 10 mmHg e del colesterolo LDL di circa 31 mg/dl. A fronte di questa rimarchevole riduzione della pressione e della colesterolemia, il trattamento con la polipillola ha determinato la comparsa di effetti indesiderati in circa 1 paziente su 6. Nella loro globalità questi risultati suggeriscono la possibilità di un bilancio sostanzialmente favorevole nel rapporto benefici/effetti indesiderati in ragione di una considerevole riduzione del livello di rischio cardiovascolare.
Certamente la polipillola si potrebbe configurare come uno strumento terapeutico di ampio utilizzo in prevenzione secondaria e negli individui in prevenzione primaria che presentino un elevato profilo di rischio (ad esempio, i pazienti con ipertensione severa o diabete mellito con fattori di rischio addizionali). In questi pazienti si potrebbe stimare una riduzione del rischio del 50-75% in corso di trattamento prolungato con una polipillola (14).
Nei pazienti con un profilo di rischio meno elevato l’indicazione d’uso dovrebbe derivare da una attenta analisi costi-benefici. Se si potesse ipotizzare una riduzione del rischio di eventi cardiovascolari maggiori in prevenzione primaria almeno del 40-50% anche nei soggetti a rischio moderato (ad esempio una riduzione del rischio a 10 anni dal 10% al 5%) con un buon profilo di sicurezza e tollerabilità e, quindi, con un vantaggioso rapporto costi/benefici, allora la polipillola si potrebbe realmente configurare come un prezioso strumento anche in prevenzione primaria oltre che in prevenzione secondaria (14).
A questo riguardo, una analisi post-hoc dello studio PILL ha dimostrato come la riduzione della pressione e della colesterolemia fosse più spiccata in quei soggetti che di base presentavano più elevati valori dei singoli fattori rischio mentre l’occorrenza di effetti indesiderati prescindeva dall’intensità dei fattori di rischio al basale (15).
Nonostante questa influenza dei livelli pressori e colesterolemici di base sulla risposta al trattamento con la polipillola, la riduzione media del rischio cardiovascolare, pari al 48%, è risultata piuttosto omogenea nella popolazione studiata (intervallo di confidenza al 95% compreso tra 43 e 52) a suggerire che l’effetto protettivo della polipillola possa risultare significativo anche nei soggetti con fattori di rischio solo moderatamente aumentati ma con un rischio cardiovascolare globale aumentato.
A questo riguardo appaiono meritevoli di menzione i risultati dello studio Heart Outcomes Prevention Evaluation (HOPE)–3, che ha arruolato oltre 12 mila pazienti randomizzati a rosuvastatina 10 mg/die, terapia antipertensiva con candesartan 16 mg/die + idroclorotiazide 12.5 mg/die o la combinazione dei due interventi vs placebo. Lo studio ha dimostrato nel corso di un follow-up mediano di 5.6 anni una riduzione del primo outcome co-primario composito di morte per cause cardiovascolari, infarto miocardico non fatale e ictus non fatale del 24% nel gruppo rosuvastatina (16). Il secondo outcome co-primario (composito del primo outcome co-primario + arresto cardiaco rianimato, scompenso cardiaco e necessità di rivascolarizzazione) confermava una tendenza analoga con una riduzione del rischio di eventi del 25%. In una sottoanalisi prespecificata, il trattamento attivo determinava una riduzione significativa del 27% del rischio del secondo outcome co-primario rispetto al placebo nei pazienti con valori di pressione arteriosa sistolica nel tertile più alto (>143.5 mmHg), contro nessun beneficio nei pazienti con pressione arteriosa sistolica compresa tra 131.6 e 143.5 mmHg (17). Con lo studio HOPE-3 i benefici della politerapia farmacologica in prevenzione primaria sembrano estendersi, dunque, anche ai pazienti a rischio intermedio senza storia di patologia cardiovascolare.
Il ricorso alla polipillola, indicato una volta che sia stata stabilita la necessità d’impiego di ciascuno dei suoi componenti, non deve essere considerato solo in casi isolati ma come parte integrante della strategia per la prevenzione degli eventi cardiovascolari (18). Non meno interessanti appaiono i risultati del recentissimo The International Polycap Study 3 (TIPS-3) che ha dimostrato una riduzione del 21% dell’outcome primario composito di morte per cause cardiovascolari, infarto miocardico, ictus, arresto cardiaco rianimato, scompenso cardiaco o necessità di procedura di rivascolarizzazione nei pazienti senza storia di malattia cardiovascolare ma con un elevato score di rischio INTERHEART trattati con una combinazione di simvastatina, atenololo, idroclorotiazide, ramipril ed aspirina (Figura 2) (19).
Innegabilmente il ricorso alla polipillola semplifica lo schema terapeutico nel paziente con polifarmacoterapie consentendo, quindi, di superare alcune rilevanti problematiche connesse al politrattamento, quali errori nell’assunzione dei farmaci o interazioni farmacologiche indesiderate, criticità soprattutto rilevanti negli anziani, a tutto vantaggio della prevenzione cardiovascolare (20,21).
Peraltro, numerosi studi hanno dimostrato che i pazienti considerano la polipillola estremamente conveniente e preferiscono assumere un singolo trattamento piuttosto che tanti trattamenti distinti (22). La polipillola, oltre a fornire al medico un efficace strumento per mettere in atto in modo semplice le indicazioni sempre più stringenti delle linee guida sulla prevenzione cardiovascolare (9,24) consente di estendere efficacemente le strategie di prevenzione cardiovascolare anche nelle realtà socio-economiche meno solide. Un elegante studio di Muñoz et al (23), ad esempio, ha dimostrato l’efficacia della terapia di combinazione con basse dosi di atorvastatina, amlodipina, losartan ed idroclorotiazide nel migliorare significativamente il profilo di rischio cardiovascolare dei pazienti economicamente vulnerabili ad un costo mensile di circa 26 dollari.
Recentemente l’importanza di un uso diffuso della polipillola è stato sottolineata da uno dei più eminenti esperti della prevenzione cardiovascolare, Valentin Fuster in una sua appassionata “call for action” per ridurre l’impatto delle malattie cardiovascolari sulla salute di ampie fasce di popolazione (25). L’uso diffuso della polipillola, infatti, consentirebbe di trasferire efficacemente nella pratica clinica le robuste ed incontrovertibili evidenze di efficacia protettiva che numerose classi di farmaci cardiovascolari (dai beta-bloccanti alle statine, dagli inbitori del sistema renina angiotensina all’aspirina) hanno dimostrato di saper garantire (9,24). La diffusa applicazione di queste evidente, infatti, risente in misura rilevante da un alto della scarsa propensione del medico ad iniziare o intensificare il trattamento per raggiungere un determinato target terapeutico – atteggiamento comunemente noto con “inerzia terapeutica” – e dall’altro della non ottimale osservanza da parte dei pazienti delle prescrizioni terapeutiche. Quest’ultima, in particolare, rappresenta una delle maggiori criticità nel raggiungimento e nel mantenimento di una protezione cardiovascolare efficace.
Una buona aderenza al trattamento rappresenta, infatti, il presupposto imprescindibile del successo di ogni strategia terapeutica perché – lapalissianamente parlando – nessun farmaco può funzionare se non viene assunto regolarmente. Se si considera che i dati del rapporto sull’uso dei farmaci in Italia del 2019 indicano una aderenza soddisfacente alla terapia antipertensiva ed ipolipidemizzante non superiore al 50%, non sorprende che la scarsa aderenza terapeutica rappresenti un vero e proprio fattore di rischio occulto. La polipillola ha certamente le potenzialità per influenzare favorevolmente sia l’inerzia terapeutica da parte del medico che l’aderenza da parte del paziente. La possibilità di ottenere rapidamente un significativo miglioramento del profilo di rischio cardiovascolare con l’associazione di più farmaci nella stessa compressa rappresenta, infatti, uno stimolo per il medico a raggiungere i target terapeutici ottimali, evitando quei fenomeni di “cristalizzazione terapeutica” che non di rado si osservano nella pratica clinica.
Nel corso degli ultimi anni alcuni interessanti studi hanno dimostrato in modo convincente come l’uso della polipillola possa aumentare in modo significativo l’aderenza al trattamento sia in confronto ai singoli trattamenti somministrati separatamente (26) che rispetto alla usual care (Tabella 1) (13,27,28,29). Lo studio Use of Multidrug Pill to Reduce Cardiovascular Events (UMPIRE) recentemente pubblicato è stato il primo studio randomizzato disegnato per valutare a lungo termine l’efficacia di una strategia basata sull’uso di associazioni precostituite nel migliorare l’aderenza dei pazienti ai farmaci nella prevenzione cardiovascolare. L’aderenza nel gruppo polipillola era dell’85%, rispetto al 60% nel gruppo standard di cura (30).
In una grande revisione sistematica di 76 studi clinici, Claxton et al. (31) hanno rilevato che l’adesione era inversamente proporzionale alla frequenza di dose.
Nel caso dell’ipertensione arteriosa, le combinazioni fisse di farmaci antipertensivi migliorano l’aderenza del 33% rispetto alle terapie di associazione estemporanee (32).
Questo vale anche per l’associazione fissa di tre farmaci (solitamente un bloccante del RAS, un calcio-antagonista e un diuretico) il cui impiego sta aumentando nella pratica clinica quotidiana. Molti casi di ipertensione etichettata come “resistente” o “difficile” in realtà sono espressione di strategie terapeutiche non troppo razionali o di schemi terapeutici eccessivamente articolati che inevitabilmente finiscono per condizionare una riduzione di varia misura dell’aderenza al trattamento. La terapia di associazione rappresenta una opzione terapeutica da tenere sempre in considerazione nella gestione di questi pazienti, soprattutto quando sia necessario ottenere una riduzione pressoria piuttosto consistente.
L’approccio terapeutico basato sull’uso della terapia di combinazione in prevenzione cardiovascolare è attualmente agevolato dalla disponibilità di differenti associazioni precostituite di farmaci a dosaggi differenziati che consentono la personalizzazione dei target in relazione alle specifiche esigenze dei pazienti. La rilevanza pratica della polipillola è stata riconosciuta dalla nostra autorità regolatoria nella riformulazione della nota 13 che specificatamente prevede per la “prosecuzione del trattamento con statine nell’ambito di terapie di combinazione con farmaci non ipolipemizzanti”, che “limitatamente ai pazienti adulti affetti da ipercolesterolemia primaria o iperlipidemia mista, ipertensione essenziale e/o malattia coronarica stabile, già stabilmente controllati, in modo adeguato, con atorvastatina, perindopril e amlodipina, somministrati in concomitanza e in modo estemporaneo, è ammessa la rimborsabilità della combinazione a dose fissa degli stessi principi attivi esclusivamente per i medesimi dosaggi e per il trattamento di dislipidemie già incluse nella Nota 13” (33). Invero, l’attuale disponibilità di formulazioni terapeutiche di combinazione a diversi dosaggi consente al clinico ampie possibilità di personalizzazione del trattamento per adattarlo al meglio ai diversi fenotipi di rischio cardiovascolare di volta in volta prevalenti.
Nonostante questi molteplici benefici che possono derivare dalla polipillola, l’uso di questo moderno approccio terapeutico risulta oggi meno ampio di quanto potrebbe/dovrebbe essere. Ovviamente la polipillola non può e non deve essere vista come un echamotage del paziente per evitare di dover seguire una condotta di vita virtuosa che preveda la moderazione nell’alimentazione e una attività fisica regolare (34). I vantaggi derivanti da uno stile di vita adeguato, infatti, sono addizionali rispetto a quelli legati al trattamento farmacologico e si potenziano reciprocamente. Secondo le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità l’uso della polypill potrebbe essere un “best buy” come approccio preventivo in ambito cardiovascolare (35).
In conclusione, la prevenzione cardiovascolare rappresenta ancora oggi un obiettivo prioritario di sanità pubblica per frenare la diffusione epidemica delle malattie cardiovascolari. L’approccio con la polipillola ha senza dubbio un grande potenziale di efficacia in prevenzione cardiovascolare e dovrebbe essere considerato una notevole innovazione terapeutica da parte dei medici, dei pazienti e dei sistemi di sanità pubblica in quanto rappresenta un chiaro esempio di modernità gestionale del rischio cardiovascolare in cui il concetto di semplificazione terapeutica si coniuga perfettamente con una sinergia di efficacia protettiva, garantendo quella resa terapeutica ottimale che deve essere l’obbiettivo finale di ogni strategia di intervento.
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