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Comment to Giovambattista Desideri

Dipartimento di Medicina Clinica Sanità Pubblica Scienze della Vita e dell’Ambiente Università degli Studi dell’Aquila

Le malattie cardiovascolari rappresentano ancora oggi la principale causa di morte nel nostro Paese, essendo responsabili del 44% di tutti i decessi (Figura 1) (1,2).

In particolare la cardiopatia ischemica è la prima causa di morte in Italia rendendo conto del 28% di tutte le morti, mentre gli accidenti cerebrovascolari sono al terzo posto con il 13%, dopo i tumori (1,2). Chi sopravvive a un attacco cardiaco diventa un malato cronico. La malattia modifica la qualità della vita e comporta notevoli costi economici per la società. Secondo i dati dell’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT), la prevalenza di cittadini affetti da invalidità cardiovascolare è pari al 4.4 per mille. Il 23.5% della spesa farmaceutica italiana (pari all’1.34 del prodotto interno lordo), è destinata a farmaci per il sistema cardiovascolare (2). Questi numeri danno una chiara misura di quanto sia importante implementare i programmi di prevenzione cardiovascolare nel nostro Paese.

Generalmente l’attenzione delle diverse strategie di prevenzione è rivolta alle persone ad alto rischio, perchè in questo gruppo di individui la proporzione di eventi è molto elevata. Tuttavia, va sottolineato che il numero di eventi più elevato si registra nelle classi di rischio dove la popolazione è più ampia, anche se il rischio è più basso. Questo fenomeno, ben conosciuto in campo epidemiologico, è noto come “paradosso della prevenzione” che, per l’appunto, afferma che molte persone esposte ad un rischio piccolo possono produrre più casi di malattia di quanti ne producono poche persone esposte a un rischio elevato (3,4). Questo aspetto è di non trascurabile rilevanza in quanto gli interventi preventivi indirizzati ai pazienti a rischio elevato o molto elevato sono certamente efficaci ma si traducono a livello di popolazione in una riduzione degli eventi numericamente limitata in quanto la stragrande maggioranza degli eventi si verifica nel resto della popolazione che resta generalmente esclusa dai diversi programmi di prevenzione.

Negli uomini con un rischio cardiovascolare ≥20% (stimato secondo la carta del rischio Progetto Cuore) si verifica mediamente solo un quarto degli eventi totali mentre il restante 75% si verifica in soggetti con un più basso livello di rischio (Figura 2) (3). La situazione è analoga nelle donne: le persone a rischio elevato generano solo una piccola parte degli eventi, il 4% (3).

È evidente, quindi, che un basso livello di rischio al quale è esposta la larga maggioranza della popolazione produce in termini assoluti un danno maggiore di quello derivato da un rischio elevato al quale è esposto un piccolo gruppo di persone. È importante tenere a mente questi concetti per riflettere sull’attuale approccio alla prevenzione delle malattie cronico degenerative, un approccio sostanzialmente fondato su una distinzione tra “soggetti sani”, di cui interessarsi poco e nulla, e “soggetti a rischio”, individuati utilizzando come criterio di riferimento un determinato livello soglia, da trattare clinicamente con ricorso ai servizi sanitari e alla terapia farmacologica. Invero, gli interventi preventivi possono anche concentrarsi sugli individui a rischio più elevato, ma la prevenzione limitata a gruppi particolari di persone non produce risultati importanti se confrontata con un’azione di prevenzione rivolta all’intera popolazione perché la maggior parte dei casi di infarto e ictus è legata all’esposizione di moltissimi individui a fattori di rischio moderatamente elevati (3). È evidente, quindi, che una buona strategia preventiva non deve occuparsi solo degli individui ad alto rischio, ma deve combinare l’approccio dell’alto rischio con un approccio mirato anche alle persone a rischio moderato o basso, prevedendo interventi che in questi individui mirino a determinare riduzioni anche modeste dei diversi fattori di rischio che, tuttavia, a livello di popolazione possono tradursi in una prevenzione cardiovascolare di ampia portata.

Questi concetti sono stati teorizzati in modo estremamente puntuale dal grande epidemiologo Geoffrey Rose che nel suo articolo Sick individuals and sick populations, pubblicato per la prima volta nel 1985 e poi riportato nuovamente all’attenzione dei clinici nel 2001, definiva chiaramente i due approcci cardine della strategia preventiva che devono essere assolutamente tenuti in considerazione: l’approccio preventivo di popolazione e l’approccio preventivo individuale per soggetti ad alto rischio (5). La strategia di popolazione si basa sostanzialmente sull’abbassamento del livello medio dei fattori di rischio, spostando l’intera distribuzione dell’esposizione al rischio in una direzione favorevole (5). Un intervento precoce, condotto in soggetti in cui i determinanti del rischio cardiovascolare sono ancora di lieve entità e non hanno prodotto alterazioni tali da non essere più completamente reversibili, ha in sé tutte le potenzialità per azzerare il rischio del paziente (6). All’opposto, un intervento tardivo, pur essendo estremamente efficace nel ridurre il rischio, non è in grado di annullare completamente il rischio medesimo in quanto permane comunque un livello di “rischio residuo” tanto maggiore quanto più elevato è il rischio di base (7).

Queste considerazioni sono alla base della raccomandazione the earlier the better supportata da tutte le linee guida di prevenzione cardiovascolare che opportunamente suggeriscono un controllo ottimale e precoce dei fattori di rischio (8). Il principale svantaggio della strategia di popolazione sta nel fatto che offre solo un piccolo beneficio a ciascun individuo, dato che la maggior parte delle persone sarebbero state bene comunque, almeno per molti anni. Una misura preventiva che porta molti vantaggi alla popolazione, infatti, nell’immediato offre poco a ogni singolo partecipante (3).

L’approccio preventivo individuale per soggetti ad alto rischio si applica a soggetti particolarmente suscettibili a sviluppare un determinato evento morboso. La strategia presenta alcuni vantaggi evidenti, quali il fatto di produrre interventi che sono adatti specificamente per gli individui a cui vengono consigliati, di aumentare la motivazione tanto nei medici quanto nei pazienti, di consentire un utilizzo più efficace delle risorse con costi relativamente limitati e di offrire un rapporto rischi-benefici più favorevole. Se si prevede, infatti, che l’intervento potrà avere qualche effetto avverso o costoso, e se il rischio e il costo sono quasi uguali per tutti, allora il rapporto tra costi e benefici sarà più favorevole dove i vantaggi sono maggiori (5).

L’approccio preventivo individuale per soggetti ad alto rischio presenta la sua principale limitazione nella aleatorietà connessa al concetto di rischio cardiovascolare. Gran parte degli individui con fattori di rischio saranno in salute per anni, anche in assenza di interventi preventivi. Al contrario, una malattia imprevista può colpire qualcuno che è appena risultato negativo ad uno screening.

Entrambi gli approcci hanno una documentata validità ma il presupposto fondamentale per una piena efficacia è rappresentato dalla loro completa e diffusa applicazione. Invero, ampie fasce di popolazione a rischio cardiovascolare basso o moderato sfuggono agli interventi di prevenzione – nella generalità dei casi basati su “semplici” modifiche dello stile di vita o limitati interventi farmacologici – in quanto si tratta per lo più di giovani adulti in buone condizioni di salute che proprio in ragione di ciò raramente si confrontano con il medico curante. Del pari sconfortante è l’analisi del controllo dei fattori di rischio cardiovascolare nei soggetti a rischio cardiovascolare elevato o molto elevato. I dati dell’European Action on Secondary and Primary Prevention by Intervention to Reduce Events (EUROASPIRE) V dimostrano che ampie fasce di popolazione a rischio cardiovascolare elevato o molto elevato continuano a seguire uno stile di vita poco salutare e non raggiungono un controllo soddisfacente di principali fattori di rischio cardiovascolare: ipertensione, diabete e dislipidemia (9).

Quanto sopra esposto dimostra una stringente necessità di ampliare gli ambiti di intervento delle strategie di prevenzione per implementare sia gli interventi a livello di popolazione che quelli sui soggetti ad alto rischio. Certamente le farmacie rappresentano una sede ideale per veicolare, in modo professionale e credibile, i messaggi di prevenzione in tutte le fasce di popolazione. Questo solido convincimento ha rappresentato la base su cui è stato sviluppato il progetto “zero eventi cardio- e cerebrovascolari”, nato alcuni anni orsono sotto l’egida della Fondazione per la ricerca sull’ipertensione arteriosa della Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa (SIIA) e della Società Italiana di Medicina Generale e delle cure primarie (SIMG) con l’intento di sensibilizzare gli utenti delle farmacie nei riguardi dei fattori di rischio cardiovascolare, ipertensione in primis. Oggi più che mai le farmacie rappresentano, infatti, importanti strutture di riferimento per i pazienti in ragione della loro diffusione capillare e dei preziosi consigli che possono fornire agli utenti in tema di salute. È evidente, quindi, che le farmacie sono un riferimento di grande utilità per le iniziative di promozione della salute e del benessere e di prevenzione delle malattie cardiovascolari.

Il progetto, nella sua edizione 2020, ha visto la partecipazione di numerose farmacie su tutto il territorio nazionale che hanno ospitato, in spazi dedicati, infermieri professionali che hanno somministrato agli utenti delle farmacie un questionario sulla stima del rischio cardiovascolare e misurato la pressione arteriosa con apparecchi automatici messi cortesemente a disposizione dalla CORMAN. Il progetto prevedeva anche la dispensazione di consigli da parte degli infermieri adeguatamente formati sugli stili di vita più salutari e sull’importanza dell’aderenza alle terapie prescritte dal medico e la distribuzione di materiale informativo. Gli utenti che si sono mostrati interessati hanno ricevuto anche informazioni sulla corretta misurazione della pressione arteriosa a livello domiciliare e sull’interpretazione dei valori misurati. L’elevato numero di utenti che hanno aderito al progetto nel 2020 – ben 4783, nonostante le varie restrizioni imposte dalla pandemia COVID-19 – dimostra chiaramente il ruolo strategico delle farmacie anche, e soprattutto, nelle condizioni di maggiori criticità quali quelle attuali.

Gli utenti, prevalentemente donne (65%), erano soprattutto ultrasettantenni (32.5%) o appartenenti alle fasce di età 60-69 anni (28.9%) e 50-59 anni (23.3%).

La quota di soggetti più giovani era meno rappresentata (4.8% di età <40 anni, 10.5% di età compresa tra 40 e 49 anni) (Figura 3).

La distribuzione anagrafica degli utenti delle farmacie dimostra come soprattutto i soggetti anziani, o più in generale i meno giovani, in ragione delle polipatologie croniche che non di rado li affliggono, possono trovare nelle farmacia un valido supporto informativo/gestionale che soprattutto, ma non solo, in momenti di criticità quale quello attuale è di importanza fondamentale. La presenza di una quota comunque non trascurabile di utenti giovani-adulti rappresenta un ulteriore elemento di interesse in quanto indentifica nelle farmacie la sede ideale per “intercettare” anche quelle fasce di popolazione che comunemente sfuggono alle opportunità formative/informative sulle misure più adeguate per il mantenimento del proprio stato di salute.

La prevalenza del fumo di tabacco è risultata pari al 15.8% degli intervistati, con un consumo medio sigarette superiore a 20 sigarette/die nel 38.6% dei casi. Si tratta di dati poco confortanti anche in considerazione del fatto che la maggioranza dei fumatori (79.6%) riferiva un’abitudine tabagica della durata superiore ai 15 anni. La lesività di fattori di rischio cardiovascolare dipende, infatti, non tanto dall’esposizione “puntuale” ai fattori di rischio medesimi quanto dall’intensità dell’esposizione agli stessi che sua volta è legata all’entità dell’esposizione (nel caso specifico il numero di sigarette al giorno) e dalla durata temporale dell’esposizione medesima. Fumare per più di 15 anni certamente lascia dei “segni indelebili” a livello della parete vascolare. Peraltro, circa il 9% degli intervistati ha riferito di essere esposto al fumo passivo, problematica tanto rilevante quanto spesso trascurata.

La farmacia rappresenta senza dubbio una sede importante per veicolare ed amplificare anche il messaggio salutistico di astensione/sospensione dell’abitudine tabagica.

La prevalenza del diabete noto è risultata pari al 12.4% mentre il 4.2% ha riferito di non sapere se poteva essere affetto o meno da diabete.

Decisamente elevata la prevalenza dell’ipertensione arteriosa nel campione di utenti delle farmacie: il 45.6% degli intervistati sapeva di essere iperteso mentre il 3.6% non sapeva riferire di essere iperteso o meno. Questi dati relativi alla consapevolezza della propria condizione di iperteso o normoteso enfatizzano l’importanza dell’intervento educazionale che il progetto “zero eventi cardio- e cerebrovascolari” si riproponeva. Se si considera, infatti, la semplicità con cui è oggi possibile misurare la pressione in farmacia, o al proprio domicilio, oltre che nello studio del medico, grazie alla disponibilità di misuratori automatici di semplice utilizzo ed affidabili, appare poco giustificale che qualcuno ancora sia ignaro dei propri valori pressori. Particolarmente significativo il fatto che la pressochè totalità (94.4%) degli utenti che sapevano di essere ipertesi assumevano una terapia antipertensiva, evidente non adeguatamente modulata sulle esigenze terapeutiche del paziente o visto che circa la metà di loro avevano valori pressori non perfettamente a target.

È evidente che l’implementazione del controllo della pressione arteriosa rappresenta una importante area di intervento nei riguardi degli utenti delle farmacie in ragione della elevata prevalenza di questo fattore di rischio e del suo enorme impatto sul rischio cardiovascolare (8). Un intervento educazionale che serva ad migliorare la consapevolezza del paziente della propria condizione di iperteso consente, infatti, di ottenerne il coinvolgimento fattivo nel progetto terapeutico più adeguato per ottimizzare il controllo pressorio e per evitare errori nell’assunzione dei farmaci. Ancor più rilevante il riscontro di aumentati valori pressori nel 23.4% dei pazienti che riferivano di non essere ipertesi o di non sapere se esserlo o meno. Questo dato purtroppo è piuttosto ricorrente nella letteratura scientifica al punto che ancora oggi la regola della metà relativamente al controllo della pressione arteriosa sembra avere mantenuto (invero inspiegabilmente…) immutata la sua validità: circa la metà dei pazienti ipertesi sa di esserlo, tra questi solo la metà viene trattata e tra i trattati solo la metà raggiunge un adeguato controllo pressorio (10,11,12).

La possibilità di misurare la pressione in farmacia, di fornire informazioni su come misurare la pressione al proprio domicilio e sul significato da attribuire ai valori pressori rilevati in ambito domiciliare ed, infine, la sensibilizzazione dei pazienti nei confronti dell’importanza strategica di essere aderenti alle prescrizioni farmacologiche e non farmacologiche per il trattamento dell’ipertensione fa della farmacia il luogo dove meglio il messaggio di salute può coniugarsi con consigli gestionali pratici. A questo riguardo l’automisurazione domiciliare della pressione arteriosa – che nelle farmacie vede senza dubbio il più importante volano di promozione – rappresenta uno strumento ideale per incoraggiare il paziente a partecipare attivamente al trattamento, e quindi ad essere aderente, favorendo l’instaurarsi di una relazione medico-paziente caratterizzata da un buon grado di condivisione delle scelte terapeutiche (13). La farmacia rappresenta sia la sede ideale per apprendere le informazioni fondamentali sull’automisurazione della pressione arteriosa, sia direttamente dal farmacista che attraverso video tutorial e/o opuscoli informativi, e sperimentare direttamente la semplicità d’uso degli automisuratori della pressione arteriosa. Non deve sorprendere, quindi, che evidenze scientifiche dimostrino in modo convincente come la compartecipazione del farmacista alla gestione dell’ipertensione arteriosa si traduca in concreti vantaggi in termini di controllo pressorio (14,15). La misurazione domiciliare può rappresentare il fulcro intorno cui far ruotare al meglio una cooperazione gestionale medico-paziente-farmacista finalizzata ad un controllo ottimale dei valori pressori configurandosi, quindi, come un vero e proprio “strumento terapeutico” in quanto il suo uso diffuso può influenzare favorevolmente il successo terapeutico sia in termini di scelte di trattamento sia, soprattutto, in termini di coinvolgimento del paziente nel progetto assistenziale.

La prevalenza della condizione di ipercolesterolemia nota è risultata del 46.2% mentre il 10.9% degli intervistati non ha saputo riferire in merito alla propria colesterolemia. Invero, la consapevolezza del proprio stato di normocolesterolemico o ipercolesterolemico non è cosi agevole come nel caso dell’ipertensione arteriosa, per la quale i valori di normalità sono definiti da un’unica soglia per tutti i pazienti (140/90 mmHg per la pressione misurata in ambulatorio e 135/85 mmHg per la pressione misurata in ambito domiciliare) (8), in quanto i livelli desiderabili di colesterolemia variano in relazione al profilo di rischio del paziente (16).

Il 2% degli utenti intervistati ha riferito di essere affetto da fibrillazione atriale. L’utilizzo di dispositivi automatici per la misurazione pressoria dotati di un algoritmo per l’identificazione di irregolarità del battito cardiaco ha consentito di rilevare una possibile fibrillazione atriale non nota nello 0.7% degli utenti delle farmacie coinvolte nel progetto. Questi dati sono di indiscutibile interesse in quanto dimostrano come l’uso diffuso di questi misuratori automatici potrebbe consentire di svelare la quota sommersa di pazienti con fibrillazione atriale nei quali l’indicazione all’uso della terapia anticoagulante rappresenta una precisa indicazione da parte delle linee guida (17). È evidente che la decisione se intraprendere (e con quale tempistica) successive indagini diagnostiche è sempre di pertinenza del medico di fiducia al quale è importante che il paziente segnali l’eventuale riscontro ripetuto di irregolarità del battito cardiaco. La precisa caratterizzazione dell’aritmia richiede sempre una valutazione elettrocardiografica (ECG basale, ECG dinamico delle 24 ore, loop recorder) anche se alcuni misuratori possono suggerire la possibile presenza di fibrillazione atriale con elevata sensibilità e specificità.

Ciò che viene richiesto ai moderni misuratori della pressione arteriosa, ovviamente, non è la capacità di porre una diagnosi certa di aritmia ma di segnalare la presenza di una qualsiasi generica irregolarità del ritmo. Queste molteplici informazioni che possono fornire i moderni dispostivi automatici per la misurazione pressoria implicano, ovviamente, l’uso di apparecchi validati da rigidi protocolli internazionali, requisito imprescindibile per poter sfruttare appieno i molteplici vantaggi derivanti dall’automisurazione della pressione arteriosa. Questo aspetto dovrebbe essere ben sottolineato al paziente che nell’acquisto dell’apparecchio può essere fuorviato da offerte particolarmente vantaggiose, soprattutto nel caso di acquisti online, dietro cui si nascondono talora apparecchi imprecisi o, comunque, non validati da rigidi protocolli internazionali.

L’analisi del livello di rischio percepito dagli utenti (Figura 4) ha confermato una certa tendenza ad una “autoindulgenza” nella stima del proprio profilo di rischio visto che la larga maggioranza ha pensato di inquadrarsi in una scala arbitraria di rischio (da 1 a 5, rispettivamente basso, lieve, moderato, alto e molto alto) in una sorta di “comfort zone” (rischio basso nel 29.5.5%, lieve nel 30.6% dei casi e moderato nel 26.2% dei casi) mentre una minoranza di utenti ha pensato di doversi collocare nelle fasce di rischio alto (10.2%) o molto alto (3.5%). Invero, dalla determinazione analitica del livello di rischio mediante le apposite carte effettuato in un campione di 1342 utenti delle farmacie è emersa una distribuzione del profilo di rischio meno favorevole (basso 7.5%, moderato 39.2%, alto 38.5% e molto alto 14.8%). Anche questo aspetto è di notevole rilevanza perché dimostra come il farmacista possa incidere in modo significativo nella gestione del rischio cardiovascolare dei pazienti sia attraverso una più precisa definizione del livello di rischio sia attraverso una sensibilizzazione degli utenti sull’importanza di un controllo adeguato dei fattori di rischio e di una ottimale osservanza dei suggerimenti forniti al riguardo dal medico curante. Il farmacista, peraltro, per sua naturale vocazione professionale è sempre molto orientato a fornire consigli sulle strategie di intervento non farmacologiche, tra cui spiccano per rilevanza le modifiche salutari dello stile di vita e, ove opportuno, la supplementazione nutrizionale e sull’importanza dell’aderenza terapeutica.

In conclusione, i dati raccolti nel corso della “edizione pandemica” del progetto “zero eventi cardio- e cerebrovascolari” forniscono una ulteriore dimostrazione di quanto sia importante il coinvolgimento delle farmacie in ogni strategia di intervento che miri a migliorare il controllo dei fattori di rischio cardiovascolare e, più in generale, lo stato di salute della nostra popolazione. La possibilità di identificare precocemente situazioni misconosciute di aumentato rischio cardiovascolare e di sensibilizzare gli utenti nei confronti delle problematiche cardiovascolari rappresenta una prerogativa della farmacia moderna ed una opportunità da valorizzare al massimo per cercare di ridurre ulteriormente il peso ancora troppo elevato di queste patologie nella nostra società. Questa opportunità era importante prima, lo è ancora di più oggi in ragione dell’ampliamento delle distanze sociali imposte dai disposti normativi per arginare la diffusione pandemica e da atteggiamenti individuali giustamente prudenziali che porterà le farmacie ancora di più al centro della rete assistenziale dei nostri pazienti.

Bibliografia

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